sabato 4 maggio 2024

Giocare è una cosa seria

Non più tardi dell’altro giorno scrivo un messaggio ad un amico aeromodellista dicendo: “Ma si può, a pochi mesi di distanza dai 60 anni, comprare un carrarmato radiocomandato?”, aggiungendoci una faccina sorridente. Per tutta risposta ricevo una sfilza di faccine che ridono e una frase: “ Tutto è possibile. Siamo adulti ma per fortuna anche bambini”.

In questa risposta sta uno dei concetti tipici probabilmente non soltanto di quest’epoca, ma anche assolutamente comune al modo di pensare di molti: il gioco è prerogativa dei bambini, perché gli adulti non giocano. E se lo fanno, vuol dire che tornano idealmente in quella dimensione (l’essere bambini) in cui appunto il gioco è permesso e socialmente accettato. Ovvero: coscientemente, abbandonano il loro status di persone cresciute, e giocano a fare i bambini, come una sorta di gioco di ruolo tuttavia regolato da tempi e modalità precise.

Già nel mio libro Voglia di volo (3ª edizione Amazon, 2019) ho detto che praticare l’aeromodellismo rompe questo schema mentale. Ci ritorno oggi perché il caso è diverso.

Molti psichiatri (tra cui il noto Raffaele Morelli di «Riza Psicosomatica») da anni ripetono che il cervello ha bisogno di giocare: di ricevere stimoli sempre nuovi, ad esempio quelli derivanti dal “far finta che piloti un carrarmato” per restare giovane. Ed è un concetto facilmente comprensibile: la routine, la vita priva di stimoli, il disinteresse per emozioni nuove di fatto invecchia il nostro cervello; lo relega ad un ripetersi di azioni che inibiscono il formarsi di nuovi schemi mentali, e quindi anche di sinapsi[1]. Ma, allora, perché un adulto non può giocare? E, attenzione, non mi riferisco al gioco “istituzionalizzato” come ad esempio il gioco-sport (tennis, calcio ecc.) oppure il gioco apparentemente più “maturo” (come possono essere quelli di carte o i giochi di ruolo da tavolo). Perché molti di noi si schiferebbero a vedere un sessantenne giocare a soldatini (attenzione anche qui: da solo, non per far divertire dei bambini) e subito lo boccerebbero come immaturo? E perché (quando ancora si compravano i giocattoli in negozio e non on line) molti adulti si mascheravano dietro alla bugia “è per mio nipote…” quando invece quella macchinina formidabile era invece per lui? Perché, insomma, il giocattolo deve essere considerato unicamente prerogativa del bambino (fino una certa età) e non dell’adulto?

Perché sul giocattolo esistono pregiudizi nati da una sciocca morale sociale e duri a morire. Ad esempio ricordo che tantissimi anni fa, nel fare una serie di servizi per un giornale locale, chiesi ad una neuropsichiatra infantile: “Ma la distinzione rosa/azzurro per distinguere i giocattoli per femmine e maschi, ha ragion d’essere?”. La risposta fu perentoria: “Assolutamente no. È solo una convenzione per i genitori”.
Ma anche perché il giocattolo è stato spogliato della sua formidabile valenza non soltanto educativa, ma anche fisiologica (quella insomma di nutrire il cervello): i famosi giocattoli educativi di una nota marca italiana, sono un “non senso”, perché il giocattolo (fosse anche solo un pezzo di legno colorato a mo’ di mitra,  fucile, o bastone magico) è esso stesso educativo.  Il giocattolo stimola difatti la fantasia, la nutre, ci porta ad interpretare ruoli come il pilota, il soldato, l’eroe, il marinaio ecc. che sono una manna per le nostre sinapsi, per le nostre emozioni e per mettere alla prova la nostra personalità.
In conclusione: schiacciati da questi pregiudizi ormai cronici, gli adulti “sani di mente e giocosi” provano una sorta di “vergogna sociale” a giocare fuori dagli schemi concessi dal vedere comune. Allora giocano nella solitudine della loro abitazione (lontano da possibili sguardi severi) oppure spesso si ghettizzano in gruppi di pari (ad esempio il gruppo di uomini che gioca a fare la guerra simulata, oppure rievoca epoche passate come il Medioevo o il tempo dei Romani), perché lì sanno che trovano comprensione e solidarietà.

La prossima volta che vedete un adulto giocare, allora, vi prego: prima di tacciarlo immediatamente – e senza appello - come un eterno Peter Pan o un immaturo, scambiateci due parole: magari è una persona intellettualmente meravigliosa, che ha solo una sana voglia di giocare, e non necessariamente perché “resta un bambino”.

Ah… dimenticavo… il carrarmato è già stato spedito dalla Cina e non vedo l’ora che arrivi… :-)



[1] Connessione funzionale tra due cellule nervose

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