Oggi avevo un appuntamento con la paura. Al campo volo. Uno di quegli appuntamenti che non cerchi di evitare, piuttosto vuoi affrontare il prima possibile per darti delle risposte. Ed io di risposte ne cercavo, da me stesso.
Antefatto. Sabato
scorso, cioè circa una settimana fa, ero andato al campo questa volta scegliendo
il buon vecchio Darko come modello. Preciso che sono almeno 9 anni che ci volo,
quindi penso di conoscerlo. Invece…
Al primo atterraggio faccio un casino
incredibile tanto che il modello schizza nell’area piloti, per fortuna senza
danni per le persone e il modello stesso. Io rimango basito. Direi proprio scioccato:
un po’ perché qualcuno poteva farsi male,
un po’ perché non sapevo proprio spiegarmi come diavolo fosse potuto accadere. Fatto
sta che ripiglio Darko e riparto subito. Era fondamentale non fermarsi, non
cedere alla paura e allo sgomento. Secondo atterraggio brutto. Il carrello di
Darko sembra una molla che appena tocca terra lo fa schizzare. “Ma che diamine succede!” mi chiedo con un linguaggio
però molto meno forbito. Sono sconvolto. Terzo atterraggio: il carrello si allarga
facendo smusare Darko in modo impietoso. “Oh cazzo… che mi succede?”. Per
farla breve, quel sabato è stato un vero disastro. Torno a casa con l’umore non
sottoterra, ma proprio decine di chilometri sotto; l’autostima agli
sgoccioli. E, cosa peggiore, mi sento “tradito” dal modello. In più non sapevo
davvero darmi una spiegazione a quella disfatta.
Mi conosco e
queste cose non passano tanto a cuor leggero. Cioè lasciano il segno, il primo
dei quali era un atroce dubbio: “Ma so ancora atterrare o no?”. Un dubbio
legato a doppio filo alla paura. No… toglietemi altro ma non il volo! Così
passo due giorni davvero in stato di choc emotivo. Dovevo tornare al campo il
prima possibile, magari usando questa volta l’altro modello, Yusha (nella
foto). Dovevo avere una risposta alla domanda atroce: “Ma io so ancora
atterrare?”.
Nel
frattempo chiamo in causa ogni possibile memoria di concetti psicologici per
aiutarmi. E anche razionali: mi dico infatti che “porca miseria, volo da 13
anni e avrò fatto centinaia di atterraggi, e non disimparo certo in un giorno!”.
A questo aggiungo lunghe sessioni al simulatore al computer di casa. Decine di volte riprovo l’atterraggio
per capire, per darmi conforto. C’era però un appuntamento fondamentale e
chiarificatore: quello dal vivo, al campo. Insomma dovevo alzarmi di nuovo in
volo e vedere effettivamente cosa ero in grado di fare. C’era un appuntamento
con la paura. Ineluttabile.
Oggi sono
andato a quell’appuntamento. Risoluto come Russell Crowe nel Gladiatore, ma
anche consapevole che ulteriori cadute rovinose
avrebbero minato in modo significativo la
mia mente. Su Yusha oggi c’era una grossa responsabilità: darmi una risposta
alla domanda se sapevo ancora atterrare.
Raggiungo il
campo concentratissimo. Oggi è una giornata uggiosa e siamo davvero in tre
gatti: io e due colleghi. Preparo il modello con la cura di un chirurgo ma
anche con il cipiglio di chi dice: “Mo’ ti faccio vedere cosa so fare”.
Decollo, svolazzo ma è di lì a pochi minuti che c’è il varco da passare: l’atterraggio.
Faccio l’ultima
virata a sinistra con mezzo motore. Come sempre il modello perde un po’ di portanza
e scende di un metro. Lo riprendo con il cabra (cioè alzo il muso). Lo livello
e controllo il motore. Tocca terra. Scorre…ma sono proprio ai limiti della
pista, per cui inciampa nell’erba alta e si ferma a pancia in su, dopo una
capottata goffa. “Uhmmm… potevo fare meglio. Sono stato troppo prudente a tenermi
lontano dalla zona piloti”. Non mi dò una medaglia ma nemmeno mi scoraggio. Me
lo aspettavo come primo atterraggio dopo il fattaccio. Risalgo altre tre volte
e questa volta gli atterraggi sono tutti buoni.
Yusha (che guardacaso
in giapponese significa “coraggioso”), mi ha risposto: “Sì… sai ancora
atterrare”. Fra un po’, dopo aver fatto una modifica al carrello, riprenderò in
mano Darko e lì sarà un ulteriore banco di prova. Un altro appuntamento con la
paura. Ma per oggi va bene così…

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