martedì 8 agosto 2017

Scuola di volo - Parte 2

Nella prima parte della mia Scuola di volo (*) - ovvero ciò che tra le altre cose ti insegna l'hobby dell'aeromodellismo - ho parlato dell'importanza dell'umiltà. Oggi voglio invece dedicarmi a quella che io chiamo sociabilità. Sì, attenzione, non è un refuso per "socialità" (anche se c'entra). Parlo proprio di "sociabilità", ovvero di abilità nell'essere sociali e dunque socievoli.

Il campo volo è a tutti gli effetti un microcosmo. Curioso, perché il più delle volte non si tratta altro che di una striscia d'erba, con barriere di sicurezza e un riparo più o meno strutturato. Intorno c'è perlopiù un vuoto fatto di campi agricoli e vegetazione. Eppure lo è, grazie al fatto che diventa il centro di un'attività sociale che come tale ha delle caratteristiche proprie. In questo microcosmo convivono, ancora una volta curiosamente, due atteggiamenti mentali: l'individualismo e la collegialità

Il primo è determinato dal fatto che, in ogni caso, il pilota resta solo. Da solo (a meno che non sia un neofita) si pone al centro della pista e decolla con il suo modello. Da solo vive emozioni che magari sono già state vissute da altri, ma che in ogni caso in quella giornata appartengono solo a lui, con le sfumature che derivano dalla sua indole e dalla specifica personalità. "Ognuno col suo viaggio/ Ognuno diverso/ E ognuno in fondo perso/ Dentro i fatti suoi", per dirla con Vasco Rossi (**).
La collegialità nasce invece dal fatto che comunque si interagisce con un gruppo, se ne possono condividere o meno gli obiettivi e i problemi, ma comunque ad esso ci si deve adeguare: seguendo ad esempio il regolamento del campo, le procedure di decollo, volo e atterraggio, ecc.

In quanto microcosmo, ognuno sceglie di viverlo a modo suo. Troveremo allora il solista, che arriva, saluta, e poi passa tutto il tempo da solo accanto al modello, regolandone il motore o volando; ma anche il compagnone, che magari non porta con sé nemmeno il suo aereo e passa il pomeriggio a chiacchierare con gli astanti; il socievole, che alterna momenti di solitudine (per concentrarsi oppure per godersi semplicemente l'ambiente e il volo dei colleghi) e quando ne ha voglia innesca dialoghi perlopiù di "vita di campo" o aeromodellismo oppure si intrufola in una discussione in atto; lo stacanovista, per cui il tempo è prezioso e macina litri di carburante o batterie per volare non-stop. Eccetera eccetera. 

Quello che tuttavia credo che insegni questo hobby è appunto la sociabilità.

Essere sociali (e dunque socievoli) aiuta moltissimo. A patto, però, che sia un atteggiamento sincero e non da "macchietta" tipo alcuni personaggi indimenticabili del compianto Rag. Ugo Fantozzi, alias Paolo Villaggio. Per farla semplice: il brillantone a cui non importa niente dei colleghi ma lo stesso dispensa saluti, complimenti, battute a tutti, farà poca strada. Verrà comunque visto con occhio dubbioso, e la sua presenza nelle attività sociali del campo (cene, grigliate ecc.) non sarà certo invocata a gran voce.

Essere sociali è fondamentale all'inizio, quando impari. Poiché in genere dare lezioni è un'attività di puro volontariato da parte dei "vecchi" del campo, è gradito anche un atteggiamento collaborativo, educato e magari un poco riconoscente da parte dell'allievo. Se il neofita è scontroso, superbo e cinico, pochi avranno la voglia di affiancarlo nei suoi primi voli.

Essere sociali è fondamentale anche dopo. Quando hai bisogno di un consiglio, ma anche solo di un cacciavite o un goccio di benzina per il modello che è a secco. Persino quando hai bisogno di un conforto.
Ricordo a questo proposito un giorno in cui caddi forse la prima volta con il mio modello-scuola. Un collega del campo, vedendomi decisamente affranto, non indugiò un attimo a mettermi nelle mani il suo aliante-scuola. Che coraggio! Ero appena caduto e lui si era fidato delle mie mani inesperte. Lo fece certamente per farmi superare subito lo choc. E ancora oggi quel gesto lo ricordo con infinita gratitudine.

Essere sociali, infine, è un po' di sale che si aggiunge ad un hobby che comunque giudico già di per sé bellissimo, oltre che istruttivo. Puoi restare anche tre ore a 38 gradi all'ombra, sudando come un lottatore di sumo, eppure la compagnia dei colleghi, lo scambiare quattro chiacchiere tra aerei, il governo che resta un ladro, i giovani che non sono più gli stessi e gli immancabili episodi divertenti del campo, davvero non ha prezzo. E il complimento più bello che si possa fare ad un campo che funziona, credo che sia quello che io ho fatto e continuo a fare a quello che frequento: "Qui mi fate sentire a casa".



(*) Cfr. post del 2 agosto 
(**) Cfr. "Vita spericolata", 1983

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