"Per Sindrome di Peter Pan si
intende quella condizione psicologica di
chi non vuole crescere e diventare adulto. I soggetti affetti da questo
disturbo, sono adulti giovani, che rifiutano l'idea di maturare e assumono
atteggiamenti tipicamente adolescenziali. Tali atteggiamenti derivano da questo
stato mentale di totale immaturità, rifiuto di assumersi ogni responsabilità e
incapacità di impegnarsi seriamente in qualsiasi cosa che sia minimamente di
intralcio alla propria spensieratezza e serenità"
(Dott. Pietro
Grattagliano, psichiatra e psicoterapeuta, www.psichiatrianapoli.it).
Quando ho
letto questa frase non ho potuto che pensare a noi modellisti, soprattutto in
riferimento alla presunta "non volontà di crescere e diventare adulto". Forse
perché da molti questa attività hobbistica viene ritenuta un "gioco da adulti",
e di conseguenza chi la pratica resta in fondo un bambinone che ha
semplicemente tecnologizzato un gioco
adatto a bambini e ragazzi.
Ed è vero?
Sì e no.
Occorre per prima cosa inquadrare il termine "gioco" (in questo caso l’aeromodellismo dinamico) e dunque il
"giocattolo" (il modello). Senza
dover scomodare citazioni colte, si può dire che gioco è "qualsiasi attività liberamente scelta a cui si dedichino,
singolarmente o in gruppo, bambini o adulti senza altri fini immediati che la
ricreazione e lo svago, sviluppando ed esercitando nello stesso tempo capacità
fisiche, manuali e intellettive" (Cfr. Vocabolario Treccani).
Gioca allora
il bambino, e con questo esercita una miriade di funzioni cognitive ed emozionali
che saranno fondamentali per una corretta crescita. Gioca l’animale giovane, e
con questo esplora l’ambiente e impara le tecniche di comunicazione e le
strategie di vita tipiche della sua specie. Gioca l’adolescente, spesso con "giochi" adatti ad un/a ragazzo/a in crescita e dunque sottoposto ad un cambiamento
radicale sia fisico che psichico. Gioca anche l’adulto. Sì. Però in questo caso
il gioco è curiosamente standardizzato,
quasi "anestetizzato" di quella parte libera e anarchica che è tipica del gioco
fanciullesco. Si gioca allora a carte, a scacchi, a tennis, a giochi di ruolo,
a scendere lungo i torrenti, a scalare le montagne in mountain bike ecc. Giochi
insomma dove vige la regola comunemente condivisa, la tecnica, l’abilità fisica
o mentale.
Eppure non ho mai sentito dire a nessuno: "Gioco
all'aeromodellismo". Perché?
Da una
parte, qualcuno risponderebbe che "No, non è un gioco. È una cosa molto seria".
Ma questo, però, potrebbe valere per molte altre attività. Dall'altra, dire di "giocare all’aeromodellismo" significherebbe prestare il fianco a coloro che (a
torto o ragione) ci considerano dei bambinoni cresciuti. Dei novelli Peter Pan dell’aria. Allora preferiamo
dire "Pratico l’aeromodellismo" (per contro è raro sentir dire "Pratico il
tennis"), oppure meglio ancora "Sono un pilota di aeromodelli". Che poi chi
pilota si diverta un mondo e davvero giochi in campo, l’ho ribadito più volte
nei miei post precedenti.
Dunque "giocare" può essere una cosa molto seria, oltre ovviamente ad essere una pulsione
tipica di ogni essere vivente. O quasi. Quello che cambia è invece il
giocattolo. Vedere un manager cinquantenne giocare con le macchinine nel suo
ufficio, lascerebbe tanti un po’ perplessi. A meno che… con lui non ci sia il
figlio, o comunque un soggetto giovane e pertanto autorizzato a giocare con le macchinine. Allora il manager non solo
verrebbe scusato, ma anche apprezzato come padre o amico socievole e amante dei
bambini.
Vedere lo
stesso cinquantenne giocare a tennis, non
farebbe una piega. Ma anche – perché no – giocare in un torneo di giochi di
ruolo. Il vero problema sembra dunque essere l’oggetto del gioco e l’immagine
mentale che esso occupa nel pensiero comune. Quanto più esso evoca un legame con l’infanzia, tanto meno è adatto
all'adulto. La macchinina è perfetta per il bambino. La macchinina
radiocomandata da 1500 euro… uhmmm in mano ad un adulto è un po’ come se fosse
né carne né pesce. Va bene, sì però… L’aereo è grossomodo lo stesso. Certo
evoca l’aeroplanino del bimbo, ed il modello radiocomandato e costoso… sì è
vero, non è da bambini, però…
Cos'è allora quel però finale.
In sostanza: che perplessità crea chi fa volare un radiomodello e pure si
diverte?
Sì, perché di perplessità ne crea comunque! Credo che la risposta vada trovata
in quanto appena detto: aereo = gioco bambinesco; aeromodello = ibrido tra
bambinesco e adulto; adulto che gioca con aeromodello = boh?
L’aeromodellista
è in sostanza un Peter Pan a metà. Gioca – perché, fuori dai denti, di questo
si tratta – con la passione di un bambino, però deve avere capacità, competenze
e spesso soldi da adulto per poter praticare questo hobby-gioco. È un ibrido,
come detto prima. Uno "strano animale" di mitologica memoria: corpo da adulto e
testa da bambino. Eppure, fuori dal campo, può essere una persona seria,
responsabile, efficace, pragmatica. Un adulto, insomma.
Sarà anche
per questo che spesso ci si avvicina a questo hobby da adolescenti, se non
proprio preadolescenti. Soprattutto se in famiglia o tra gli amici c’è già
qualcuno che lo pratica. Poi, una volta passato qualche anno, è frequente che
il giovane pilota smetta. Perda interesse. Salvo poi, magari, riprenderlo una
volta divenuto un uomo di mezza età. È come se il ragazzo ad un certo punto "si
vergognasse" di giocare con qualcosa che idealmente lo rimanda all'età della
fanciullezza, epoca che nell'adolescenza si vuole abbandonare il più in fretta
possibile per apparire e sentirsi adulti. Poi, una volta terminata questa fase
conflittuale, si può tornare a giocare serenamente, senza avere il timore di un
giudizio sociale e del gruppo di pari.
A questo
proposito ricordo chiaramente la volta in cui, preadolescente, il primo giorno
di vacanza al mare tirai fuori dal sacchetto le mie biglie per giocare sulla
sabbia. Come avevo fatto negli ultimi 7,8 anni. Quella volta, però, qualcosa mi
bloccò immediatamente. Provai un indistinto senso di vergogna. Ero già
cresciuto, e in un certo senso temevo quello che gli altri avrebbero potuto
dire di me. Fatto sta che non giocai più. Ora, invece, non mi farei alcuno
scrupolo a disegnare piste sulla sabbia e far correre i vari (dell’epoca)
Gimondi, Moser ecc.
In
conclusione credo che la sindrome di Peter Pan non possa essere applicata tout court all'aeromodellista nell'atto
di compiere il suo hobby. E certamente non in tutte le accezioni proposte dallo
psichiatra napoletano citato. Vale a dire che può essere una persona
perfettamente matura e in grado "di assumersi ogni responsabilità", nonché capace "di impegnarsi seriamente in qualsiasi cosa". Che poi mantenga e alimenti una forte pulsione ludica, questo è
indubbio. Ma la cosa bella è che il più delle volte non si pone il problema di
difenderla. Gioca e basta. E con i pari condivide serenamente questa passione. Anzi,
nel gruppo di modellisti trova comprensione (relativa ad esempio ai soldi che
si possono arrivare a spendere) e complicità che talvolta non trova fuori di
esso. Sarà anche per questo che tanti frequentano il campo come se fosse un bar
di paese: cioè si fermano ore semplicemente a chiacchierare, senza alzare in
volo alcunché.
Confesso
tuttavia che un pensierino ce l’ho ancora. Non è che chi ci giudica
inesorabilmente "bambinoni", in fondo in fondo non prova un po’ di invidia per
chi dimostra (o lascia immaginare) di divertirsi un mondo?
Molto bello per le sensazioni vere che descrivi!!!
RispondiEliminaDai 15 ai 19 anni ho fatto tanto modellismo!
Abbandonato fino ai 74 anni,che peccato ritrovarsi ad imparare tutto così in ritardo però
"con pazienza" miglioro tanto giorno per giorno!
Grazie mille! Buoni voli...
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