Fateci
caso. Per molti automobilisti l’autovettura è uno strumento, un vero e proprio
"mezzo" il cui scopo – il trasporto di persone e cose – è evidente. E come tale
viene gestita. Cioè viene tenuta in ordine, più o meno pulita, efficiente per
quanto possibile, e poi basta. Il rapporto uomo-auto termina lì. La psicologia
ci insegna tuttavia che si può andare oltre. L’autovettura diventa un ennesimo
microcosmo al cui interno ci trasformiamo. Smettiamo allora di essere Mario,
stimato ingegnere elettronico, Fabio panettiere, Luigi studente, e diventiamo
all'improvviso altro da noi. E il fatto stesso che l’auto sia fisicamente chiusa,
aumenta questa percezione di un mondo totalmente nostro, dunque privato e nel
quale poterci trasformare in ciò che magari non avremmo mai pensato di
diventare.
Vengono
spiegate così le crisi d’ira, di rancore e frustrazione che talvolta sfociano
in tragedie della strada. Duelli tra auto che si trasformano in sfide al
cacciavite, oppure inseguimenti da film per mancate precedenze, fino magari
alla rissa o – purtroppo – all’investimento volontario.
Nel mondo
dell’aeromodellismo può accadere qualcosa di simile. Ho più volte detto che i
modelli hanno un’anima. È vero, ma
non per tutti. Al pari dell’auto che è un complesso sistema di ferro, plastica, cavi e strumenti, il modello è anch’esso un prodotto fatto di balsa oppure polistirene espanso ed estruso (detto comunemente Epo o Depron, a seconda della lavorazione), cavi e qualche congegno elettronico e meccanico. E da qui si parte. Per qualcuno resta tale. Ovvero è un oggetto, bello finché vuoi, ma pur sempre un qualcosa di immateriale che può dunque avere un destino avverso, senza con questo creare grossi patemi d’animo. Per qualcun altro no. Il modello assume un’anima perché non ce n’è uno uguale all’altro in termini di dinamica di volo e risposta ai comandi, anche se si tratta dello stesso tipo di aereo della medesima marca.
Ecco perché
tanti modellisti ne hanno diversi a casa e, seppur fermi da tempo in cantina,
non vengono ceduti. Perché sono come delle creature viventi che "hanno una loro
personalità". Ed ecco perché capita (a me sempre) che al modello venga dato un
nome. Ho ad esempio citato più volte il mio Darko, che di fatto è un modello MXS della FMS-RocHobby. E che dire
di Kuća, il mio aereo-scuola U Can
Fly della Hype, il cui nome (in croato significa "casa") e che è di buon
augurio che il modello torni sempre da me sano e salvo.
Prendendo
come punto di partenza quanto ho appena detto, è più facile comprendere il
concetto di fiducia applicato anche
al modello.
Si tratta
di un atteggiamento mentale che tante volte viene applicato al campo volo, ma riferito
a persone viventi. Io ad esempio, ho fiducia nell’istruttore che mi sta
insegnando; e quale grande fiducia devo riporre nel collega a cui ho messo in
mano il mio modello nuovo fiammante, perché faccia lui – che è più esperto – il
primo collaudo di volo?
Un rapporto
di fiducia del tutto particolare si
può instaurare anche con il modello.
"Ma come?",
potrebbe obiettare qualcuno. "In fondo si tratta solo di una macchina complessa
che risponde ai comandi che gli vengono impartiti. Fiducia o non fiducia, se tu
piloti bene lui va. Altrimenti cade".
È vero, non
c’è dubbio. Ma chi ragiona così lo fa esattamente come chi vede nell’automobile
un semplice mezzo di trasporto.
Chiunque un
po’ esperto dirà che il proprio modello va conosciuto. Si deve insomma fare
esperienza di come reagisce ai comandi, come si comporta alle diverse velocità
di volo, come può essere influenzato dal
vento ecc. Questa conoscenza è tipicamente - direbbero i comportamentisti -
basata su un sistema per prove ed errori.
Cioè attraverso gli sbagli imparo cosa è meglio per me, cosa funziona e cosa
no. Si diventa così padroni del mezzo e si evita, come tante volte mi sono
sentito dire, il problema che "lui (riferito all’aereo, nda) fa quello che vuole".
Attraverso
la conoscenza, scopri piacevolmente che da cavallo imbizzarrito stile
lungometraggio a cartoni animati Spirit,
l’aereo può diventare un soggetto da dressage
(disciplina equestre dove cavallo e cavaliere eseguono precisi movimenti
prevalentemente geometrici). Anche se resta quella piccola percentuale di
sorpresa, di imponderabile, per cui – soprattutto per un problema tecnico o
meccanico – il modello torna ad impazzire e spesso a cadere.
Quella
conoscenza che cresce per prove ed errori,
quella sorta di addomesticamento che
il pilota deve comunque fare con il suo aereo (o elicottero, non c’è
differenza) può produrre quella fiducia a
cui ho fatto cenno. Per assurdo che possa sembrare, io pilota arrivo a fidarmi del mio modello.
A questo
proposito può essere significativo quanto mi successe qualche tempo fa, e che
in parte ho già raccontato nel post La paura. Dopo un incidente con il mio Darko dovuto ad un problema tecnico per
il quale davvero mi trovai tra le mani un aereo impazzito difficile da domare,
io smisi di usarlo per diversi mesi. Avevo paura, certo. Ma anche avevo smesso
di fidarmi di lui.
Quel crash
così inatteso e infido, aveva minato quel “nostro” rapporto tecnico-affettivo.
Non me l’aspettavo.
Poi, dopo
mesi, lo ripresi in mano. Con il cuore in gola. Ma uno, due, tre e tanti altri
voli hanno fatto sì che la fiducia tornasse. Non che siano mancati altri
piccoli incidenti, ma tutti legati ad un mio errore di pilotaggio, non "suo". E
da allora ho smesso di volare con il mio rattoppato aereo-scuola, e svolazzo
con Darko.
Assolutamente
rilassato? No. Fiducioso…
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