mercoledì 13 settembre 2017

La “livella” della livrea

Credo che molti lettori conoscano la poesia ‘A livella, scritta nel 1964 da Antonio De Curtis, in arte Totò (nella foto). Per chi non la conoscesse, la riassumo brevemente: l’autore immagina di recarsi in un cimitero il 2 di novembre per fare visita alle tomba di una parente. Nel girovagare vede, tra le altre, la grande tomba di un rinomato marchese con a fianco quella decisamente più malconcia e povera di un netturbino.
Giunta la sera, il visitatore resta chiuso all'interno del cimitero e con suo grande stupore assiste alle proteste dell’anima del marchese che non sopporta di essere stato sepolto vicino ad un umile netturbino. Quest’ultimo, con saggezza, gli risponde  di stare calmo e di lasciar perdere, perché ormai entrambi sono cadaveri e la morte rappresenta una sorta di livella(*) che appiana ogni differenza sociale.

Faccio questa introduzione perché anche il campo volo, a mio parere, rappresenta una sorta di livella. Ovvero: qui le differenze sociali, economiche e professionali tra coloro che lo frequentano (unicamente relative al mondo del lavoro) non solo non hanno senso, ma perdono i loro contorni fino a sfumare quasi del tutto. E attenzione a non confondere lo status economico-sociale con l’eventuale atteggiamento. L’essere un operaio oppure un manager, un camionista piuttosto che un rinomato medico qui non ha alcun peso; diverso è invece che il singolo assuma atteggiamenti spocchiosi o di superiorità, ma questo può essere anche slegato dal prestigio sociale che più o meno può vantare.
Personalmente ignoro buona parte delle professioni dei miei colleghi. So tuttavia che in generale nel nostro gruppo abbiamo disoccupati, operai, piccoli imprenditori, dentisti, ex bancari ecc. Quando però ci si trova sullo spiazzo erboso della pista, tra rumore di eliche che girano e odore di glow nell’aria, tutto si appiattisce. Si uniforma. Ed è per questo che parlo di livella della livrea (quest’ultima può essere definita la colorazione e la grafica esteriore di un modello, nda).

Giustamente qualcuno potrebbe obiettare che ciò accade perché ogni singola professionalità non ha senso nell'atto di far volare un modello. Ed è vero. Che alla radio ci sia un giornalista piuttosto che un falegname, l’importante è che piloti bene e la differenza la fa semmai l’esperienza e la capacità di volo. Però, come in molti altri campi, una crepa all'interno di questa uniformità potrebbe essere rappresentata proprio dal modello: più ho disponibilità economica, più bello, tecnologico e costoso potrebbe essere l’aereo che guido.

Uso il condizionale perché non credo che le cose vadano in realtà così. Pur senza voler dipingere un mondo utopistico dove regnano incontrastati l’amore e la concordia, credo davvero che sentimenti come l’invidia  restino perlopiù fuori dai campi. Vedere un collega con un modello eccezionale in termini di bellezza e anche valore economico, davvero non genera praticamente mai sentimenti negativi oppure sprezzanti nei confronti della persona. Semmai di ammirazione e, sì, anche un po’ di preoccupazione per un eventuale crash. Perché – com’è logico – un conto è distruggere un aereo da 250 euro, un conto è farlo con uno da 1500.
In sostanza, il campo volo non è certo il luogo più adatto per sfoggiare le icone del proprio conto in banca e del ruolo sociale ricoperto. Il fatto che si parcheggi un grosso SUV ed estragga da esso una riproduzione fenomenale, di fatto ha poco peso se poi la persona è socievole, alla mano, rispettosa degli altri e collaborativa con il gruppo. Se invece assume atteggiamenti di superiorità, è ovvio che scatti la frase: “Ma chi si crede di essere?”. Ma questo vale anche se raggiungesse il campo con una Panda e volasse con l’equivalente di una scatola di biscotti. Torniamo dunque alla affermazione fatta in precedenza: non è lo status socio-economico a fare la differenza; semmai è l’atteggiamento.

Il perché tutto questo accada è semplice: tutti noi modellisti convergiamo verso un’unica passione. La condividiamo e spesso troviamo nel nostro gruppo di pari non solo comprensione ma anche una sorta di “rifugio”. Ed è proprio il condividere che lega e livella.
Personalmente ho avuto modo più volte di esprimere ai miei colleghi del campo quello che ritengo sia il complimento più bello che si possa fare ad un gruppo: "Mi fate sentire a casa". Nel senso che mi trovo a mio agio, posso essere me stesso, e spesso il campo è stato ed è ancora una valvola di sfogo dove poter sciogliere nell'aria preoccupazioni, delusioni, ma anche gioie.
E non potrebbe mai essere così se percepissi arroganza, presunzione, diffidenza, distacco ecc., tutti atteggiamenti che  bene o male potrebbe assumere chi si sente superiore.

Modificando solo in parte i versi del grande Totò, allora direi a chi comunque volesse atteggiarsi così: "(…) Perciò, stamme a ssenti... nun fa' 'o restivo,/ suppuorteme vicino - che te 'mporta?/ Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:/ nuje simmo serie... appartenimmo â campo!"



(*) La livella è uno strumento usato in edilizia per stabilire l'orizzontalità di un piano 

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