giovedì 31 agosto 2017

Statico o dinamico? Psicologia spicciola del modellista

Ricordo che anni fa stavo andando in macchina verso Roma, con un paio di amici. D'un tratto, lungo una strada statale alle porte della capitale, vidi uno sfasciacarrozze con il suo consueto cumulo di autovetture accatastate una sull'altra. Ma subito notai, proprio vicino alla rete che confinava con la strada, la carcassa (ancora in uno stato accettabile) di un vecchio Fiat G91 dell’Aeronautica militare italiana. Fu un colpo. Questo è infatti il tipo di aereo che più mi piace, retaggio certamente di quell'emozione che provavo a vederli sfrecciare in cielo negli anni ’70.
"Mio Dio!", esclamai. "Se avessi spazio e soldi mi fermerei e lo comprerei subito". Sì, l’avrei comprato e messo in giardino, ignorando le reazioni di stupore e scetticismo che sicuramente avrei suscitato nei vicini. Anzi, per assurdo l'avrei caricato sul tetto della macchina (peraltro non mia) e lo avrei trasportato fino in Lombardia.
Ovviamente non feci nulla di tutto questo. Però questo episodio mi dà lo spunto per affrontare un aspetto significativo del modellismo: il desiderio e il piacere di possedere un pezzo di realtà che ci emoziona.

Fateci caso. Prendiamo ad esempio il modellista statico, cioè colui che costruisce - o assembla partendo da un kit preconfezionato - un aereo (ovviamente lo stesso discorso vale per navi, elicotteri, camion, macchine, trattori ecc.): lui non costruisce un aereo, ma quel tipo particolare di velivolo che più gli piace. Ovvero un Fiat G91, un Cessna 182, uno Spitfire ecc. La sua attività è dunque concentrata nel riprodurre in scala un qualcosa di vero, di reale. In altre parole, attraverso il modellino lui riesce a possedere un pezzo di realtà, adatto ovviamente ad essere ospitato in casa e maneggiato, date le dimensioni più o meno ridotte.
Un discorso simile vale anche per il modellista dinamico, cioè colui che i modelli li fa volare, navigare, camminare. Le industrie costruttrici lo sanno bene, ed infatti propongono una miriade di riproduzioni di aerei realmente esistiti o attuali. E tanto più il loro grado di realismo è rigoroso (vale a dire curato nei dettagli), tanto più il modello verrà apprezzato.
Ho ad esempio assistito al campo ad una discussione su un modello di McDonnell Douglas F/A-18 Hornet vecchio di dieci anni, un po’ rabberciato ma comunque bello da vedere, che verteva sul profilo dei piani di coda. "No, nella realtà non sono smussati", diceva un collega, salvo poi andare a verificare sull'enciclopedia degli aerei - presente inesorabilmente in macchina - se questa osservazione fosse da considerarsi vera o meno.

Questa forma di presa di possesso della realtà ha radici primordiali. Scrive a questo proposito Gianluca Veggia nel suo sito Internet www.ilmiositoweb.com/modellismo: "Per ingraziarsi le divinità, tutti i popoli antichi, dai Greci ai Romani deponevano nei templi statuine di bronzo o di terracotta con funzione essenzialmente votiva e comunque legata a culti religiosi. Si trattava spesso di figure di animali, di guerrieri, ma anche di divinità e a volte raffiguravano carri, oppure utensili casalinghi". E ancora: "Dal Medio Evo fino a pochi anni fa, semplici modellini di velieri, venivano posti come ex voto nelle chiese, per ringraziare la Madonna o qualche Santo dello scampato naufragio di qualche nave. Ma oltre che per motivi religiosi o ludici, il modellismo si sviluppò sia nei cantieri navali che presso artigiani mobilieri per creare piccoli modelli delle opere da costruire, da mostrare ai committenti. Sembra addirittura che anche il grande Leonardo da Vinci, ricorresse al modellismo per mostrare ai committenti i plastici delle sue opere".
In questo caso il possesso della realtà presenta sfaccettature diverse. Lasciando da parte Leonardo e la sua creazione di modellini in scala – cosa che si fa ancora oggi e che ha motivazioni anche pratiche per il successivo realizzo del manufatto in scala reale – si può notare come la riproduzione della realtà in scala abbia una funzione perlopiù evocativa. Io lascio il mio modellino di nave davanti alla statua della divinità e con esso chiedo la grazie di un viaggio sereno. O anche: depongo la riproduzione di una mano in miniatura davanti al riquadro del santo per ringraziarlo di non averla persa in occasione di un grave incidente. E così via.

Dubito che qualsiasi modellista, prima di un volo, deponga l’aeroplanino giocattolo del figlio nella chiesa più vicina per ingraziarsi un buon volo. Eppure le dinamiche psicologiche sono simili sia per il modellista che per chi depone un ex voto: io non posso deporre una imbarcazione vera in chiesa, e allora ne produco un facsimile in scala e lo offro alla divinità; così come io non posso pilotare un vero F/A-18 Hornet e allora ne compro o ne costruisco uno in scala e lo faccio decollare. O anche lo tengo solo in casa e lo ammiro ogni volta che voglio. In entrambi i casi io decido di adattare la realtà alle mie esigenze.

C’è tuttavia ancora un aspetto che merita attenzione e che si traduce in una domanda: a livello psicologico, c’è differenza tra un modellista statico e uno dinamico?

Prima di suggerire un risposta a questo interrogativo, devo necessariamente rimarcare delle eccezioni. La prima è che non è affatto detto che le due figure non possano coincidere. Cioè ci può essere ad esempio l’aeromodellista che fa volare il suo modello ma che magari costruisce anche velieri da tenere in casa. La seconda è che non è affatto detto che un modellista statico non abbia interesse a quello dinamico; semplicemente può essere che non abbia avuto la possibilità di avvicinarsi a questo hobby. Diventa allora azzardato tracciare dei profili netti validi per tutti e pertanto quella che segue resta unicamente un’ipotesi.

Diciamo che lo statico(*) è prevalentemente un esteta. Il dinamico un pratico. Il primo, infatti, una volta raggiunta una certa abilità costruttiva, non tollererà che il suo modello non risulti pressoché perfetto in termini di aderenza alla realtà. La livrea(**) dovrà essere quella, così come l’eventuale armamento o la presenza di specifiche vele, ruote ecc. Perché molto semplicemente quello che ha in mano dev'essere ad esempio un Fiat G91 e non qualcosa che ci assomiglia. Diversamente tutto il discorso del possesso della realtà decade.
Il dinamico, invece, è un pratico, nel senso che può essere molto più tollerante. Ad esempio accetta di buon grado di far volare modelli rabberciati con colla e nastro adesivo, perché l’importante è che torni a volare in sicurezza dopo un crash. Poi può accettare serenamente di avere un modello che magari risulta simile a tanti velivoli esistenti, ma non per questo ne rappresenta una riproduzione fedele. Il mio stesso Darko è simile ad un aereo acrobatico, ma non per questo saprei indicare di chi è la riproduzione.
Lo statico (non me ne vogliano i tanti appassionati) assomiglia dunque a chi osserva il mondo dalla finestra, un po’ come chi viaggia unicamente guardando i documentari in televisione, mentre il dinamico e colui che in "strada" ci va, e se deve viaggiare carica in macchina la sua valigia e via.
E ancora: per usare un paragone ardito, lo statico è lo studioso accademico, che fa ricerche, si documenta, esplora ogni possibile caratteristica del modello che realizza quasi per scongiurare ogni possibile infiltrazione del falso storico nel suo pezzetto di realtà; il dinamico invece è il professore delle scuole medie che, pur godendo di una preparazione magari vastissima, deve comunque fare i conti con ragazzi svogliati, errori di grammatica e finanche chewingum appiccicati sotto ai banchi.


(*) Per comodità da ora in poi, salvo diversa specifica, userò "statico" per indicare il modellista statico e "dinamico" quello che invece fa muovere i suoi modelli

(**) Insieme di colori, disegni, scritte che contraddistinguono aerei, navi, veicoli di diverse organizzazioni militari o civili.

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