martedì 29 agosto 2017

Tu chiamale se vuoi... soddisfazioni

Estate 2017. È il primo pomeriggio di un giorno infrasettimanale. Ormai so che anche durante la settimana al campo c’è qualcuno. In giorni ormai canonici: perlopiù pensionati o professionisti che decidono di prendersi il pomeriggio libero. Io sono tra questi.
Le batterie pullulano di energia già dalla sera precedente. I sedili della macchina sono già ribaltati. Darko è già imbragato come una fiera dentro lo scatolone adattato ad hoc per fungere da contenitore per un trasporto sicuro. Lo stesso scatolone che un giorno, prima che venisse pietosamente dipinto d’un bel blu cielo, suscitò la curiosità di un amico del campo, che candidamente mi chiese: "Scusa Stefano, ma che cosa sono le Nastrecce?". Era il nome di una marca di merendine. Sì, lo so. Avrebbe fatto più figo se avessi trovato imballaggi della Great Planes, della Hype, della Sebart (tutte marche produttrici di aeromodelli, nda) ma tant’è. Quella Nastreccia faceva il caso mio. A costo zero.

Il caldo toglie il fiato. Ma non importa. Così percorro le poche centinaia di metri di strada sterrata che portano al campo, sollevando nuvole di polvere mentre levita con l’afa anche quel misto di tensione, voglia di volare e di fare bene che mi accompagna ormai dal primo giorno. 
Parcheggio. Il campo è deserto. Solo qualche piccione sudato s’attarda a cercare sparuti vermi secchi tra l’erba color paglia. Io non mi preoccupo. So già che molti arrivano non alle 14.00, come capita a me, ma saggiamente più tardi. Quando emerge almeno l’illusione che il caldo possa mollare. Così apro il gabbiotto e tiro fuori la manica a vento.

Che soddisfazione! Il regolamento del campo prevede che tu possa avere la chiave di questo scrigno - perso nel deserto della boscaglia brianzola - solo dopo aver superato un esame interno che certifichi che tu sai volare. E che, per caso, puoi anche venire al campo da solo. Io feci l’esame dopo più di due anni. Non mi sentivo pronto, fino al giorno in cui mi decisi. Con successo. E tenere in mano quella chiave fu per me come avere quella di un castello, o di un forziere prezioso.

Faccio "l’alzabandiera" con la manica a vento e con soddisfazione noto che non c’è alcuna bava di vento. Magnifico. Condizione ideale. Peccato che non si veda ancora nessuno. Sì perché il regolamento non "proibisce tassativamente", diciamo che "sconsiglia" di volare da soli. Un incidente può sempre capitare, e non ci sarebbe nessuno pronto ad intervenire. Poi, diciamoci la verità, l’idea di volare in assoluta solitudine l’ho sempre scartata. Troppa paura, anche se – a ben vedere – in mezzo alla pista rimani sempre da solo, come ho anche scritto nel mio blog Come un rigore nel cielo.
Così mi accascio sulla seggiola di plastica, mentre gocce di sudore mi irritano gli occhi.

Darko è lì. Fermo, ma solo all'apparenza. Dentro di sé scalpita, e dalla naca (grossomodo è il muso dell’aereo, nda) sembra quasi dirmi: "Dai Stefano. Approfitta del fatto che non c’è vento. Portami su!".
Lo ignoro, per qualche istante. Intanto guardo l’ora. Sono già le 15.00 e nessuno si vede. Uhmmm.
Tante volte, nei mesi scorsi, mi è capitato di rinunciare a volare perché quel giorno il campo era deserto. Così tornavo a casa,  col morale sotto ai piedi, e batterie da scaricare. Ma oggi…

Darko diventa insistente. La manica a vento resta una matita bianca e rossa perfettamente verticale. Zero vento. Anche la pista sembra chiamarmi come una Sirena vegetale. "Vieni… vieni novello Ulisse…". Sono confuso. Ho la sensazione che a chiamarmi sia la maga Circe e che debba pagare con un drammatico crash la mia superbia di sfidare le colonne d’Ercole e volare in totale solitudine..
Intanto inizia a farsi largo l’idea che di una giornata del genere vada necessariamente sfruttata. Volare da soli…. Dio che follia! "Pazza idea", l’avrebbe definita Patty Pravo. Eppure…

Guardo Darko, la manica a vento, la pista, poi ancora Darko, le batterie, l’orologio, il piccione che mi fissa da lontano con aria di sfida. Sudo. Colo. Mi asciugo. Impreco. Guardo il cellulare: nessun messaggio di speranza sul gruppo WhatsApp del campo. Riguardo la manica… beh… porca miseria il vento è a zero. Ulisse. Circe. Crash. Polistirolo che si sbriciola. Patty Pravo…

Fanculo.

Ho il cuore a mille. Apro il petto a Darko e ci infilo la batteria come se fossi Barnard(*). Calzo in testa l’immancabile cappellino (per utilità ma anche scaramanzia non ho mai volato senza) e guadagno il centro della pista.

Sono deciso come Russell Crowe nel Gladiatore. Eppure mi sento come un diabetico che entra in una pasticceria. So benissimo che "è sconveniente" quello che sto facendo, e nella testa mi balenano scene orripilanti di pezzi di polistirolo che sfavillano sull'erba, e già mi sembra di sentire quella vocina stronzina: "Te l’avevo detto…". Tuttavia…

Le Sirene hanno vinto. La manica ha vinto. Darko sorride, impavido. "Only the brave" mi ripeto. "Solo i coraggiosi". Così accendo il motore e parto. Darko sussulta, rimbalza sui ruotini, mangia polvere e gloria. Poi d’un tratto si stacca da terra e guadagna l’aria.

Sono fottuto. Penso. Ormai è fatta. O cado oppure atterro come un pilota Top Gun. Ma il dado è tratto.

Volo. Le mani mi tremano. Il sudore mi riga la faccia. I piccioni se ne stanno lontano. Immagino a guardare, e magari a prendermi in giro. Ma Darko è un grande. Sfila liscio, disegna geometrie che quasi mi sembra che faccia tutto da solo. Intanto il timer della radio incalza. Su un tempo massimo di sei minuti massimo di permanenza in volo, siamo già a tre. E allora viro. "Faccio un loop?"(**) mi chiedo. Sì. Ormai è fatta. E se dovessi pentirmi del mio ardore, almeno che ne sia valsa la pena.

Darko mi sorprende. Da cavallo imbizzarrito come mi sembrava solo pochi mesi fa, oggi sembra un placido animale da tiro. Intanto la radio corre. Quattro minuti. Entro due minuti al massimo devo atterrare.

Finora è andato tutto bene e davvero non so che darei perché una mano magica mi prendesse il modello in volo e lo posasse quieto accanto a me, senza dover atterrare. Sì perché questa è la manovra che proprio con Darko mi ha causato dei crash. "Only the brave", Stefano.

Cinque minuti, È ora. Applico tutte le procedure per l’atterraggio. Rallento, viro ampiamente e…
"Atterro!"" grido a gran voce. So benissimo che non c’è nessuno al campo, e quindi questo "annuncio di manovra" che normalmente è bene fare per avvertire gli altri piloti, è pressoché inutile. Forse finanche grottesco. Ma mi aiuta. Psicologicamente.

Scendo. Chiudo progressivamente il gas. Sudo. Anzi, colo.

Darko veleggia come un gabbiano. Perde quota. Con calma. Persino armonia.

Intanto i piccioni hanno tutti smesso di volare. Lo so. Stanno guardando con il fiato in gola.

Tre metri, due metri. "Togli gas!". Un metro…. Cabra. Cabra….
Darko tocca terra. Corre sulla pista e si ferma. Indenne. Orgoglioso. Sembra che dica: "Vedi, te l’avevo detto!".

Mi guardo attorno. Silenzio totale. Non c’è anima viva. Solo i piccioni riprendono a volare.

Guadagno il bordo della pista, con Darko e radio  in mano. E non mi sembra vero. Mentre mi accascio esausto ma profondamente orgoglioso sulla sedia, penso: "Ho sfidato la paura, le Sirene, Patty Pravo, i piccioni, il caldo, la sfiga, la sorte, l’erba secca… e ho vinto". Ho volato da solo.

Stasera, per festeggiare, una birretta a cena e tante cose da raccontare. Magari, con Lucio Battisti, canticchiando mentalmente: "Tu chiamale se vuoi… soddisfazioni".



(*) Christiaan Neethling Barnard (1922-2001) è stato un chirurgo sudafricano, assurto a fama mondiale per aver praticato il primo trapianto di cuore della storia della medicina.
(**) Detto impropriamente "giro della morte"


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