venerdì 14 novembre 2025

Appuntamento con la paura

Oggi avevo un appuntamento con la paura. Al campo volo. Uno di quegli appuntamenti che non cerchi di evitare, piuttosto vuoi affrontare il prima possibile per darti delle risposte. Ed io di risposte ne cercavo, da me stesso.

Antefatto. Sabato scorso, cioè circa una settimana fa, ero andato al campo questa volta scegliendo il buon vecchio Darko come modello. Preciso che sono almeno 9 anni che ci volo, quindi penso di conoscerlo. Invece…
Al primo atterraggio faccio un casino incredibile tanto che il modello schizza nell’area piloti, per fortuna senza danni per le persone e il modello stesso. Io rimango basito. Direi proprio scioccato: un po’ perché  qualcuno poteva farsi male, un po’ perché non sapevo proprio spiegarmi come diavolo fosse potuto accadere. Fatto sta che ripiglio Darko e riparto subito. Era fondamentale non fermarsi, non cedere alla paura e allo sgomento. Secondo atterraggio brutto. Il carrello di Darko sembra una molla che appena tocca terra lo fa schizzare.  “Ma che diamine succede!” mi chiedo con un linguaggio però molto meno forbito. Sono sconvolto. Terzo atterraggio: il carrello si allarga facendo smusare Darko in modo impietoso. “Oh cazzo… che mi succede?”. Per farla breve, quel sabato è stato un vero disastro. Torno a casa con l’umore non sottoterra, ma proprio decine di chilometri sotto; l’autostima agli sgoccioli. E, cosa peggiore, mi sento “tradito” dal modello. In più non sapevo davvero darmi una spiegazione a quella disfatta.

Mi conosco e queste cose non passano tanto a cuor leggero. Cioè lasciano il segno, il primo dei quali era un atroce dubbio: “Ma so ancora atterrare o no?”. Un dubbio legato a doppio filo alla paura. No… toglietemi altro ma non il volo! Così passo due giorni davvero in stato di choc emotivo. Dovevo tornare al campo il prima possibile, magari usando questa volta l’altro modello, Yusha (nella foto). Dovevo avere una risposta alla domanda atroce: “Ma io so ancora atterrare?”.
Nel frattempo chiamo in causa ogni possibile memoria di concetti psicologici per aiutarmi. E anche razionali: mi dico infatti che “porca miseria, volo da 13 anni e avrò fatto centinaia di atterraggi, e non disimparo certo in un giorno!”. A questo aggiungo lunghe sessioni al simulatore al computer di casa. Decine di volte riprovo l’atterraggio per capire, per darmi conforto. C’era però un appuntamento fondamentale e chiarificatore: quello dal vivo, al campo. Insomma dovevo alzarmi di nuovo in volo e vedere effettivamente cosa ero in grado di fare. C’era un appuntamento con la paura. Ineluttabile.

Oggi sono andato a quell’appuntamento. Risoluto come Russell Crowe nel Gladiatore, ma anche consapevole che ulteriori  cadute rovinose avrebbero minato in modo significativo  la mia mente. Su Yusha oggi c’era una grossa responsabilità: darmi una risposta alla domanda se sapevo ancora atterrare.
Raggiungo il campo concentratissimo. Oggi è una giornata uggiosa e siamo davvero in tre gatti: io e due colleghi. Preparo il modello con la cura di un chirurgo ma anche con il cipiglio di chi dice: “Mo’ ti faccio vedere cosa so fare”. Decollo, svolazzo ma è di lì a pochi minuti che c’è il varco da passare: l’atterraggio.
Faccio l’ultima virata a sinistra con mezzo motore. Come sempre il modello perde un po’ di portanza e scende di un metro. Lo riprendo con il cabra (cioè alzo il muso). Lo livello e controllo il motore. Tocca terra. Scorre…ma sono proprio ai limiti della pista, per cui inciampa nell’erba alta e si ferma a pancia in su, dopo una capottata goffa. “Uhmmm… potevo fare meglio. Sono stato troppo prudente a tenermi lontano dalla zona piloti”. Non mi dò una medaglia ma nemmeno mi scoraggio. Me lo aspettavo come primo atterraggio dopo il fattaccio. Risalgo altre tre volte e questa volta gli atterraggi sono tutti buoni.
Yusha (che guardacaso in giapponese significa “coraggioso”), mi ha risposto: “Sì… sai ancora atterrare”. Fra un po’, dopo aver fatto una modifica al carrello, riprenderò in mano Darko e lì sarà un ulteriore banco di prova. Un altro appuntamento con la paura. Ma per oggi va bene così…

lunedì 1 settembre 2025

Sangue freddo!

Sangue freddo. È un'espressione spesso utilizzata per invitare ad affrontare con lucidità una situazione difficile, senza cedere al panico. Il più delle volte la si usa magari a fronte di eventi difficili della vita, ma che comunque raramente richiedono un intervento in pochi secondi. Invece… a me è capitato ieri.

Ero (finalmente) al campo dopo almeno 15 giorni di rinvii. La voglia di volare si era dunque accumulata tanto che avevo caricato tutte e quattro le mie batterie a disposizione (in genere faccio solo 3 voli, quindi ne uso 3). Vista l'erba un po' alta, decido di usare Yusha che ha le ruote del carrello più grosse. Faccio tre voli nel giro di 90 minuti. Tutto ok. Poi decido di fare l'ultimo. Delle 4 batterie, una è diciamo "meno performante" di altre. Per cui tendo la lasciarla per ultima. Casomai non la utilizzassi, sarebbe un "danno" lieve. Per la precisione è la numero 3 (visto che sono identiche le numero per distinguerle). Complice una imperdonabile leggerezza  - non verificare la carica di ogni batteria prima di inserirla nell'aereo, cosa che invece faccio ogni volta da 10 anni - non mi accorgo di rimettere dentro alla fusoliera la batteria numero 4 che avevo già usato in precedenza, convinto che fosse quella ancora da scaricare. Ciò vuol dire che invece di poter godere del 98-99% di carica, ne avevo forse solo 30-35%.  Il dramma era subdolamente dietro l'angolo.

Decollo. Tutto ok. La batteria suo malgrado reagisce a questo surplus di richiesta di energia. Dopo 2 minuti e mezzo (cioè circa metà del mio normale tempo di volo) mi accorgo di un impercettibile sussulto, poi sento il rumore tipico di quando l'autovettura "beve" l'ultima goccia di benzina del serbatoio, e vedo Yusha rallentare in modo drammatico. "Merda! È saltata la batteria!" Penso mentre una scarica di paura mi attraversa le mani. In tre secondi mi sono dunque reso conto che: 1) avevo un problema serio; 2) che Yusha non aveva più motore; 3) che dovevo fare un atterraggio di emergenza che fosse il meno rovinoso possibile, ma ero ben lontano dal punto in cui di norma faccio l'ultima virata per atterrare.
Non so se l'esperienza o cosa, fatto sta che il mio corpo si è posto in modalità "Houston abbiamo un problema…": ovvero concentrazione a mille e panico soffocato. Ci sarà tempo dopo per scaricare tutta la tensione. Faccio veleggiare Yusha cercando con l'occhio la parte di terra che potrebbe essere meno rovinosa in caso di caduta goffa. Sorvolo un pezzo di terra coltivata, poi per miracolo raggiungo un lembo di pista e faccio posare Yusha in modo sgraziato ma intero. Lo raggiungo con l'ansia di vedere il carrello azzoppato, ma è tutto intero. Così lo raccolgo e raggiungo interdetto la zona piloti. "Che cazzo è successo?" mi chiedo,  prefigurando già di buttare quella batteria divenuta un pericolo. Arrivato al tavolo misuro la carica restante e vedo che all'1%.  
Insomma avevo consumato ogni singolo elettrone ancora disponibile.

Passa mezz'ora e condivido con gli amici del campo lo scampato pericolo. Poi, per curiosità, raggiungo la mia cassetta degli attrezzi e misuro la carica di ogni batteria. Con sorpresa noto che la numero 3 ha il 98% di carica. A quel punto era evidente che avevo preso la 4 due volte. Mi sono dato dell'imbecille per mezz'ora. Poi, però, ho lodato il mio sangue freddo che mi ha permesso (assieme ad una legittima botta di culo) di non far sfracellare Yusha. Oggi è andata bene...

domenica 17 agosto 2025

Via col vento

Ho sempre sostenuto che – se interpretato con la giusta sensibilità – l’aeromodellismo dinamico è una fonte inesauribile di insegnamenti. Un’ennesima prova l’ho avuta subito dopo Ferragosto. Tra un motivo e l’altro era già tempo che non andavo al campo e soprattutto era almeno tre settimane che non facevo volare Yusha. Per cui fremevo.

Dopo aver consultato almeno tre siti meteo, scelsi la giornata di sabato anziché domenica perché sulla carta il vento era più calmo. Così caricai tutte e quattro le mie batterie e mi recai al campo. Sapevo che alle 14 era previsto più vento ma almeno un paio di siti mi suggerivano che per le 16 sarebbe calato. Così scelsi di andare per le ore 15, una via di mezzo. Subito mi accorsi però che l’aria era molto più insidiosa di quanto avessi immaginato: tesa e per di più trasversale alla pista: cioè peggio di così non poteva essere. Tuttavia quel “miraggio” delle ore 16 mi incuteva una certa fiducia. Così mi misi tranquillamente seduto ad aspettare e a chiacchierare con un altro pilota che anche lui attendeva il momento propizio per decollare.

Arrivano le 16 ed il vento, invece che diminuire, aumenta. “Merda…” inizio ad imprecare tra me e me. Lo spettro di una giornata senza alcun volo si stava profilando, suscitando in me un senso di frustrazione. Così mi attacco al cellulare a consultare ogni possibile oracolo meteorologico. Ma ognuno mi dà risposte che non vorrei mai sentire. Solo uno mi suggerisce che alle 16 il vento passerà miracolosamente da 10 a 1 km all’ora per poi tornare a 10 alle ore 17. Penso subito che ci sia un errore. “Che fa, cala per un’ora e poi torna come prima? Forse quell’1 in realtà è un 11. Si saranno sbagliati”. Tuttavia mi aggrappo a quel barlume di speranza. “Fiducia Stefano, fiducia!” mi ripeto oltre ogni logica.

Alle 16,20 il vento inizia davvero a calare. Si riaccende la speranza. Sono combattuto: provare lo stesso nonostante le condizioni non siano il massimo, oppure lasciar perdere? La voglia di sconfiggere quella crescente frustrazione iniziava a scontrarsi con una vocina dentro che malignamente mi prospettava un rovinoso crash del modello. “Lascia stare… torna a casa col modello intero” mi diceva. “Fanculo…” rispondevo. “Io oggi VOGLIO volare”. Alle 16,45 il miracolo. Di botto il vento cala quasi a zero. In ritardo di 45 minuti sul previsto ma davvero scende probabilmente a 1 km all’ora.

Non perdo tempo. Sistemo la batteria e faccio decollare Yusha. Volo seppur senza fare nulla di straordinario, poi atterro. Tutto ok. Guardo costantemente la manica a vento. È ancora calma. Così non faccio nemmeno una sosta: sistemo una seconda batteria ed in un amen sono già in volo, come se non ci fosse un domani. Atterro un po’ lungo per via della brezza in coda, ma va bene lo stesso. Sono già contento. Due voli insperati!  

Il vento riprende vigore. Mi ha concesso davvero solo 20 minuti di tregua. Eppure, a valutare ogni scodinzolio della manica a vento, non è ancora forte. Uhmmm ho ancora due batterie turgide di energia. Che fare? Lo spettro “dell’ultimo volo”, quello che spesso si trasforma da opportunità ad incidente, mi si profila in mente. Ma decido di fottermene. “Only the brave”, solo i coraggiosi mi ripeto per darmi coraggio. Così innesto la terza batteria e decollo. Il vento cresce in maniera insidiosa. Non voglio sfidare il destino. In fondo sono già contento. Così a metà del tempo a disposizione decido di scendere. Atterro con uno stile non certo spettacolare ma senza danni. È andata! Mi si allarga un sorriso in faccia mentre stampo un bacio sulla naca* di Yusha.

Oggi ho imparato un’altra lezione: aspettare ed avere fiducia talvolta è la scelta più saggia e tale da regalarti nuove emozioni.


* (il muso, ndr)

martedì 5 agosto 2025

Un "lui" di troppo?

Capita anche questo... Sono al campo e mi godo la tranquillità di aver concluso senza problemi i miei voli. Al che indugio volentieri a chiacchierare con un signore che si è fermato a guardarci volare. È un tipo curioso e piacevole. Così il discorso si infittisce proprio sull'aeromodellismo. Lui mi fa una domanda tecnica. Darko (qui nella foto) sta dormicchiando accanto a me. Al che inizio a rispondere. Indico Darko e dico: "No, lui non ha i flap... li ha l'altro modello che ho" e proseguo indicando gli ampi alettoni che lo caratterizzano. Poi indugio a parlare del mio modello continuando a dire "lui ha questo", "lui sì comporta in volo così" ecc.
Solo tornando a casa, mezz'ora dopo, mi rendo conto che mi riferivo a Darko esattamente come se fosse un essere vivente. Come se fosse un animale domestico oppure persino un  figlio. Quel "lui" ripetuto era un lapsus.. avrei potuto usare altre espressioni. Invece... Al che mi sono messo a ridere da solo, dicendo: "Sei proprio da neuro...."

martedì 29 luglio 2025

Guida emotiva all'aeromodellismo

È con vero piacere che segnalo la pubblicazione del mio nuovo (e terzo) libro dedicato all'aeromodellismo. Un viaggio "dietro le quinte" alla scoperta di emozioni e sentimenti che animano questo meraviglioso hobby.  

Una "guida emozionale" come recita il sottotitolo, è un viaggio nei sentimenti e nelle emozioni che, in questo caso, caratterizzano l’aeromodellismo dinamico inteso come hobby praticato dagli appassionati. Questo libro - il terzo che dedico all'aeromodellismo dopo Voglia di volo (2019) e Fame d'aria (2021), entrambi disponibili su Amazon - riunisce e dà forma scritta a queste emozioni, in un viaggio ipotetico che parte dalle radici di questa passione per arrivare al momento in cui, da anziani, dovremo “appendere l’aeromodello al chiodo”.

Il libro lo trovi qui 




domenica 6 luglio 2025

Una breve storia d'amore

Questo è esattamente ciò che vedi durante il decollo. Tu, dietro il modello, e davanti un corridoio d’erba che sembra lunghissimo, da fare con una corsa forsennata (ma sapientemente calibrata) per poi graduare dolcemente le dita sul comando del “cabra” della radio per guadagnare il cielo. È uno dei due momenti più rischiosi (il secondo è l’atterraggio) ma anche dei più affascinanti: staccarti da terra, da tutto, dalle tue paure, dalle tue stanchezze, da ‘sto caldo che t’ammazza, per guadagnare il cielo, librarti come un  giovane aquilotto e per 5/6 minuti essere parte dell’aria pur nel confort e nella sicurezza dell’essere coi piedi per terra.  
Puoi fare mille decolli ma ognuno sarà diverso. Perché, in fondo, è l’inizio di una breve storia d’amore che nasce e poi dopo pochi minuti finisce quando, stanco ma gaio, il tuo modello terminerà la sua corsa dopo aver baciato il cielo.

venerdì 20 giugno 2025

Piccole storie di ordinario aeromodellismo

Piccole storie di ordinario aeromodellismo. Come questa….

In volo oggi
Complice l’arrivo del nuovo modello Yusha proprio il giorno del mio compleanno (il 31 dicembre) i mio buon vecchio Darko (nella foto) aveva fatto l’ultimo volo a inizio gennaio. Questo dopo almeno 8 anni di convivenza con me e centinaia di voli. Non era certo andato in pensione, però l’entusiasmo per il nuovo arrivato aveva fatto sì che appunto da gennaio abbia volato solo con Yusha. Col passare delle settimane mi ripetevo: “Accidenti, devo riprendere a far volare anche Darko”, perché vederlo fisso sopra il soffitto mi metteva tristezza. Però, essendo Darko un modello acrobatico ed essendomi abituato al più pacioso Yusha, per assurdo ho iniziato ad avere timore di riprenderlo in mano. Assurdo, perché era 8 anni che ci volavo, quindi lo conoscevo bene. Ma… niente… sono fatto così. Uscire dalla mia “comfort zone” è sempre difficile.


Passavano le settimane e trovavo sempre una scusa per scegliere Yusha piuttosto che Darko: “l’erba è alta”, “oggi c’è più vento”, “ oggi ho voglia di rilassarmi e basta” ecc. Scuse. Intanto sul povero Darko, come ho avuto modo di verificare ieri, si era posato un dito di polvere. Oggi invece, inaspettatamente mi si è offerta l’occasione di andare al campo. E subito ho pensato: “Ok porto Darko”.

Confesso che ieri, mentre mi organizzavo, mi è subito balzato in gola un groppo di paura. Però ho deciso che quello doveva essere il giorno. Così ho rivisto le procedure per cambiare modello sulla radio, e ho tirato giù dal soffitto il vecchietto giallo. Dovevo innanzitutto togliere sei mesi di polvere e poi verificare che i comandi fossero ok.

Come un guerriero deciso continuavo a ripetermi: “Ok la decisione è presa. Domani tocca a te volare”.

E così è stato. Pronte tre batterie, oggi mi sono immerso nel forno estivo del campo alle ore 14,00. Decollo senza pensarci. C’è un po’ di vento, mannaggia, ma io sono determinato. Darko si leva in volo e subito vira paurosamente a sinistra. Sembra uno zoppo. Non mi faccio prendere dal panico. Gestisco il volo matto tipo solista delle Frecce Tricolori e con buone dose di trim (1) gli aggiusto l'inclinazione dell’alettone. Darko si calma. Ora vola dritto, anche se il vento lo sente.
Seconda batteria. Darko si stacca da terra e si impenna come un cavallo imbizzarrito. “Merda… troppo cabra!” (2). D’altra parte devo tornare ad abituarmi al suo modo di volare. Correggo e mi salvo. Sudo ma sono contento. Vola. E bene.
Terza batteria. Decollo ok. Atterraggio ok. Perfetto. Si torna a casa. Con il sorriso riappendo Darko al soffitto. Sono certo che anche lui è contento. Alla prossima vecchietto!


(1) E' un comando sulla rado che permette certe regolazioni di volo 
(2) Cabrare vuol dire far sollevare il muso dell'aereo



domenica 2 febbraio 2025

Ad ognuno il suo nome

- "Ma tu dai sempre i nomi ai tuoi modelli. Perché?"
- "Perché per me non sono solo un misto di polistirolo ed elettronica. Dal momento in cui viene dalla sconfinata Cina (di fatto vengono tutti da lì) è come se quel modello, sì, proprio quello destinato a te, avesse un'anima che è diversa da quella della consegna successiva. Come un bambino che nasce pochi secondi dopo ma è diverso dal precedente. Sì, hanno un'anima se sai vederla, sentirla. E con quest'anima ci parli. Quel modello in volo ha un comportamento tutto suo, e devi imparare a conoscerlo e a rispettarlo. Perché come diceva il mio maestro di volo 'in fondo hanno sempre ragione loro'. Quindi non puoi domarli. Puoi conoscerli e rispettare il loro carattere. E, se va bene, se 'vi trovate', farli diventare tuoi amici per ore liete".

lunedì 20 gennaio 2025

Una dolce malattia

Questo è ciò che vediamo quando facciamo decollare i nostri aeromodelli dalla pista di Ceriano Laghetto. Uno spazio vuoto diviso tra terra e cielo che può essere un'autostrada (se ti senti sicuro) oppure un sentiero (se invece sei teso). Ma in ogni caso dopo poche decine di metri appartieni già all'aria e bene o male a terra ci dovrai tornare: da  eroe oppure da tapino, a seconda che tu riesca ad atterrare più o meno bene oppure con un rovinoso crash. Ma per 5, 6 minuti appartieni al cielo, alla libertà, al tuo desiderio comunque di sentirti pilota, anche solo di un modello in polistirolo. Ogni volo è diverso. Ogni decollo è diverso. Ogni atterraggio è diverso. Ne puoi fare ventimila, puoi volare da decenni ma sarà sempre così. Ed anche questa è la magia di questa dolce malattia che si chiama aeromodellismo.

giovedì 16 maggio 2024

Ciao Elio...

Il 4 giugno 2022 ci lasciava Elio Corongiu, storico presidente e fondatore del nostro Gruppo Modellisti Sportivi Ceriano Laghetto. All'avvicinarsi del secondo anniversario, gli dedico questa lettera...


Ti scrivo in una giornata di pioggia. Una di quelle che noi aeromodellisti odiamo, perché ci tiene lontani dal campo, ma che tuttavia ci serve per aggiustare o creare i nostri modelli. Pioveva anche nei giorni successivi al tuo funerale, mentre incollato alla finestra guardavo da casa mia il vuoto e lasciavo che la malinconia fosse il luogo più vicino dove restare accucciati.
Ti scrivo da lontano, da quel “piccolo mondo” che tu hai voluto, amato, curato e difeso sempre, talvolta come un buon pastore, altre come un mastino da gregge che non conosce vie di mezzo. E quel mondo c’è ancora: ferito, magari decimato, pervaso da tanto amore e qualche goccia di veleno, ma c’è ancora, insieme all’odore dell’erba tagliata e del vento che ci ha sempre accompagnato in ogni momento. Quello stesso vento che ora certamente cavalchi con la perizia del pilota di lungo corso, e dell’anima leggera che stai imparando ad essere.

Sai, maestro, ci sono due cose che mi sono rimaste impresse a fuoco nell’anima. La prima sono le tue ultime parole al telefono, pochi giorni prima del tuo ultimo decollo: ti chiesi se eri soddisfatto del lavoro fatto dal nuovo direttivo che avevo iniziato a presiedere. E tu, credo sorridendo, mi risposi: «State facendo un buon lavoro». Per me era come una medaglia, il suggello dato al testimone che passava di mano in mano. La certezza che stavamo seguendo il tuo sentiero, fatto di principi ed un profondo amore per questo gruppo di non più ragazzi che continua a divertirsi a volare.
La seconda è quel pomeriggio, poco dopo la tua scomparsa, quando un gruppo di noi si è riunita al campo: senza modelli, solo per ritrovarsi, per dividere con gli altri lo choc della notizia, lo smarrimento dell’aver perso comunque un punto di riferimento. C’era tristezza, sì, ma anche dolcezza, malinconia, e persino un pizzico di divertimento nel ricordare i tuoi atteggiamenti più burberi, rudi come una roccia sarda, ma sempre dettati da quel lago d’amore che ti inondava quel corpo minuto e segnato dal tempo.

Ti scrivo ora, in una giornata di pioggia, mentre la mia bestiola volante dormicchia proprio sopra la mia testa. Perché domani tornerà il sole. Domani si tornerà al campo, su quell’erba che conosce ogni cellula di te. Perché domani voleremo come in un prepotente inno alla vita. E domani rideremo ancora, talvolta ci si righerà il viso di una lacrima, ma sempre sfideremo le entità di quel posto sperduto nella campagna brianzola, sognandoci Icaro ma tanto terreni ed umani da ammettere, ancora una volta, che ci manchi.  


sabato 4 maggio 2024

Giocare è una cosa seria

Non più tardi dell’altro giorno scrivo un messaggio ad un amico aeromodellista dicendo: “Ma si può, a pochi mesi di distanza dai 60 anni, comprare un carrarmato radiocomandato?”, aggiungendoci una faccina sorridente. Per tutta risposta ricevo una sfilza di faccine che ridono e una frase: “ Tutto è possibile. Siamo adulti ma per fortuna anche bambini”.

In questa risposta sta uno dei concetti tipici probabilmente non soltanto di quest’epoca, ma anche assolutamente comune al modo di pensare di molti: il gioco è prerogativa dei bambini, perché gli adulti non giocano. E se lo fanno, vuol dire che tornano idealmente in quella dimensione (l’essere bambini) in cui appunto il gioco è permesso e socialmente accettato. Ovvero: coscientemente, abbandonano il loro status di persone cresciute, e giocano a fare i bambini, come una sorta di gioco di ruolo tuttavia regolato da tempi e modalità precise.

Già nel mio libro Voglia di volo (3ª edizione Amazon, 2019) ho detto che praticare l’aeromodellismo rompe questo schema mentale. Ci ritorno oggi perché il caso è diverso.

Molti psichiatri (tra cui il noto Raffaele Morelli di «Riza Psicosomatica») da anni ripetono che il cervello ha bisogno di giocare: di ricevere stimoli sempre nuovi, ad esempio quelli derivanti dal “far finta che piloti un carrarmato” per restare giovane. Ed è un concetto facilmente comprensibile: la routine, la vita priva di stimoli, il disinteresse per emozioni nuove di fatto invecchia il nostro cervello; lo relega ad un ripetersi di azioni che inibiscono il formarsi di nuovi schemi mentali, e quindi anche di sinapsi[1]. Ma, allora, perché un adulto non può giocare? E, attenzione, non mi riferisco al gioco “istituzionalizzato” come ad esempio il gioco-sport (tennis, calcio ecc.) oppure il gioco apparentemente più “maturo” (come possono essere quelli di carte o i giochi di ruolo da tavolo). Perché molti di noi si schiferebbero a vedere un sessantenne giocare a soldatini (attenzione anche qui: da solo, non per far divertire dei bambini) e subito lo boccerebbero come immaturo? E perché (quando ancora si compravano i giocattoli in negozio e non on line) molti adulti si mascheravano dietro alla bugia “è per mio nipote…” quando invece quella macchinina formidabile era invece per lui? Perché, insomma, il giocattolo deve essere considerato unicamente prerogativa del bambino (fino una certa età) e non dell’adulto?

Perché sul giocattolo esistono pregiudizi nati da una sciocca morale sociale e duri a morire. Ad esempio ricordo che tantissimi anni fa, nel fare una serie di servizi per un giornale locale, chiesi ad una neuropsichiatra infantile: “Ma la distinzione rosa/azzurro per distinguere i giocattoli per femmine e maschi, ha ragion d’essere?”. La risposta fu perentoria: “Assolutamente no. È solo una convenzione per i genitori”.
Ma anche perché il giocattolo è stato spogliato della sua formidabile valenza non soltanto educativa, ma anche fisiologica (quella insomma di nutrire il cervello): i famosi giocattoli educativi di una nota marca italiana, sono un “non senso”, perché il giocattolo (fosse anche solo un pezzo di legno colorato a mo’ di mitra,  fucile, o bastone magico) è esso stesso educativo.  Il giocattolo stimola difatti la fantasia, la nutre, ci porta ad interpretare ruoli come il pilota, il soldato, l’eroe, il marinaio ecc. che sono una manna per le nostre sinapsi, per le nostre emozioni e per mettere alla prova la nostra personalità.
In conclusione: schiacciati da questi pregiudizi ormai cronici, gli adulti “sani di mente e giocosi” provano una sorta di “vergogna sociale” a giocare fuori dagli schemi concessi dal vedere comune. Allora giocano nella solitudine della loro abitazione (lontano da possibili sguardi severi) oppure spesso si ghettizzano in gruppi di pari (ad esempio il gruppo di uomini che gioca a fare la guerra simulata, oppure rievoca epoche passate come il Medioevo o il tempo dei Romani), perché lì sanno che trovano comprensione e solidarietà.

La prossima volta che vedete un adulto giocare, allora, vi prego: prima di tacciarlo immediatamente – e senza appello - come un eterno Peter Pan o un immaturo, scambiateci due parole: magari è una persona intellettualmente meravigliosa, che ha solo una sana voglia di giocare, e non necessariamente perché “resta un bambino”.

Ah… dimenticavo… il carrarmato è già stato spedito dalla Cina e non vedo l’ora che arrivi… :-)



[1] Connessione funzionale tra due cellule nervose