Ho sempre “invidiato”, diciamo così anche se è un po’ esagerato, chi entra nel bar e chiede: “il solito, grazie...”. Perché è sinonimo di familiarità; è segno evidente che quella persona frequenta da tempo il locale, che conosce la/il barista, che prende sempre la stessa cosa (es. caffè americano in tazza grande...) e che tra di loro si è instaurato un rapporto se non proprio di amicizia, almeno di conoscenza. Tant’è che quando andavo a Sesto San Giovanni (MI) a lavorare e tutte le mattine mi fermavo per un caffè in un minuscolo simil-Autogrill lungo la strada, un giorno feci la stessa battuta con la solita ragazza del bancone: “Mi dai il solito, grazie...” ridendo del fatto che lei capisse o meno ciò che intendevo chiedere. E lo capì, con mia grande soddisfazione.
Allo stesso modo trovo piacevolissimo che tra aeromodellisti che
frequentano lo stesso campo volo, sia sufficiente dire ci vediamo al campo per intendere chiaramente di cosa si stia
parlando. Non c’è bisogno di altro. E
nessuno intenderà mai un campo diverso dal “tuo”, quello che frequenti e vivi.
Bello, perché sa di casa, di famiglia, di branco, di calore. E
conferma ciò che ho imparato e ripeto da sempre: ciò che fa campo è quello spirito di unione, di amicizia, di spirito ludico
che a mio parere dovrebbe fare da collante ma anche da senso proprio di un’attività
perlopiù svolta nel nulla silvestre della campagna.
Ci vediamo al campo è allora
un invito, è una condivisione, è un rafforzamento del branco perché chi parla
lo fa usando un “codice condiviso”, ed è condiviso perché è vissuto da
entrambi. È la parola d’ordine che
identifica gli interlocutori come membri di un clan, dove per fortuna è facile
entrare. Forse più difficile rimanerci con quello spirito puro che sarebbe l’ideale
avere.
Allora, ragazzi, ci vediamo al
campo... e speriamo nel tempo!
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