sabato 27 agosto 2022

Quei modelli troppo stanchi per continuare a volare

Il pensiero l’ho fatto dopo una nottata pervasa di amarezza: l’immagine di quel modello con il muso mozzato e mezza elica conficcata nella “guancia” mi restava in mente, mentre guardavo la zona della camera dove fino poche ore prima giaceva bello e pronto al volo. Non era un modello nuovo. Anzi. Recuperato da un amico purtroppo scomparso di recente, l’avevo adocchiato già da tempo perché era molto simile al mio Darko e, dunque, pensavo che fosse paragonabile come dinamica di volo.

Così dopo qualche esitazione l’ho adottato, bindato alla mia radio e ho concordato un appuntamento con un amico esperto del campo per un primo collaudo. Ovvero un collaudo col suo nuovo proprietario: io. Quel giorno feci tre voli. Perfetti. Ero a dir poco felice.

La settimana successiva, gasato come una Coca-Cola, lo riportai al campo. Primo volo... così così. Complice il vento piegai un poco il carrello. Però un collega improvvisatosi fabbro, lo aggiustò in un amen a suon di martellate. Secondo volo... ok. Terzo volo... fanculo... scarrello e il modello smusa come uno stallone azzoppato. Mi incavolo dandomi dello sciocco principiante: “Motore, cazzo, motore devi dare!”. Poi però mi dico con inusitata calma: “Ok... c’è santa madre colla”. E così faccio. A casa rinsaldo tutto e mi sento pronto per il rilancio, anche se quel piccolo crash comunque un’ombra l’ha lasciata.

E arriviamo al giorno fatidico. C’è vento, ma quel giorno non so perché mi sento un San Michele contro il demonio Eolo. Parto, volo, atterro e... clamorosa smusata con azzoppamento del carrello. Raggiungo il modello che quasi mi viene da piangere per la rabbia. Stesso punto di rottura. Fanculo il vento e la colla. Con rabbia guadagno il tavolo, faccio una pesante flebo di colla bicomponente ed un antiestetico ma efficace bendaggio con nastro telato. Tutto questo mentre la manica a vento viene sculacciata dalle raffiche. Non so perché ma mi sono imposto di tornare a volare subito.

Passa più di un’ora e il vento regala qualche nodo in meno di forza e la colla fa presa. Allora come un eroe mitologico guadagno la pista e parto. Rabbioso. Convinto. Decollo... ok. Viro. Dopo poche decine di metri un rumore sordo (sentito da tutti i presenti) mi segnala che c’è qualcosa che non va. “Scendi subito” mi dicono dalla piccionaia (chiamo così lo spazio di sosta dei piloti). D’un tratto, vedo pendere di lato la batteria tenuta solo dai cavi di alimentazione, il vano motore è squarciato e devo fare un atterraggio non “di fortuna”, ma di vero e proprio “culo”. Guadagno il suolo in qualche modo e l’intero motore schizza via come una testa troncata. Guardo il modello e mi sembra un pesce decapitato venduto al supermercato dei surgelati. “Non ho parole”, dico. Un esame immediato dà il responso: il parafiamma del motore si era spezzato di lato già in volo. Forse era già compromesso e le vibrazioni gli hanno dato il colpo di grazia. La botta al suolo ha comunque fatto saltare anche il resto.

Sono mogio come un gatto triste. Poi un amico mi dice. “Dallo a me, vedo di rimettertelo a posto io”. Lo ringrazio, glielo consegno ma in cuor mio lo do già per morto.

Tornato a casa mi arrovello: era un aereo vecchio, molto usato, “di recupero”, però mi piaceva. E soprattutto: cosa cavolo era successo? A parte lo scarrellamento - chiaramente colpa mia - mi levo subito qualche peso di coscienza: non si è rotto per colpa mia. “Infarto del metallo del parafiamma”, mi ripeto. Ma qui non siamo in una puntata del Dr. House dove alla fine tutto si risolve. Così passo la notte mogio, amareggiato, ma con il 50% dei sensi di colpa in meno. Al mattino, poi, la folgorazione: «Stefano, ma non è che quel modello non aveva più voglia di volare? Non è che fosse semplicemente stanco e in qualche modo ha fatto un’eutanasia da solo?».

Datemi del matto, ma l’ho pensato. E il fatto di dire: “Basta. Aveva solo voglia di fermarsi. Gli hai regalato 6 voli inaspettati, ora basta...” mi ha rincuorato. Mi ha messo il cuore in pace.
D’altra parte, se ho sempre sostenuto che i modelli hanno un’anima, non posso non pensare che ogni tanto abbiano voglia anche di morire. E allora ho pensato a tutte quelle volte in cui i nostri modelli cadono e si sfracellano per cause a noi ignote. Noi pensiamo che sia sfiga, interferenza radio, o chissà cosa. Ma semplicemente, forse, il modello è solo stanco e ha voglia di riposare per sempre. Sia esso giovane o vecchio, poco importa. Per motivi suoi vuole “staccare la spina” e l’unico modo che ha per farlo è un crash disastroso. Diversamente colla e artigianalità possono metterlo di nuovo in pista. E allora il desiderio del modello viene meno.

Stavo dunque coccolandomi con la mia rassegnazione, quando mi chiama l’amico. “L’ho sistemato. Secondo me vola ancora”. “Oh numi!” penso. Da una parte sono felice che mi abbia dato un’altra possibilità. Dall’altra il pensiero è subito andato a quanto ho scritto: e se questo fosse solo una forma di accanimento terapeutico? Ve lo dirò nei prossimi voli.

Nessun commento:

Posta un commento

Se ti piaciuto o non ti è piaciuto questo post, avrò piacere di leggere il tuo parere!