Se mi fosse dato il compito di seguire fin dall’inizio un pilota neofito (sia esso ragazzino o adulto), la prima cosa che gli direi è: «Guarda bene il tuo modello nuovo di zecca, così lucido nelle finiture, così sinuoso in ogni sua parte. Guardalo bene perché a breve non sarà più così. Avrà ammaccature, graffi, pezzi rabberciati e la colla sarà la tua migliore amica. Sì, perché è inevitabile, e tremendamente scontato, che qualche incidente capiterà. Più o meno grave. Ma capiterà».
Fattore educativo 1: la determinazione
C’è chi magari, posto di fronte alla sola prospettiva dell’incidente (crash), decide di mollare. Altri invece possono accettare questo sacrificio imposto dalla divinità, ma solo a parole, e di fronte alla prima caduta, ricoverano tutta l’attrezzatura in soffitta. Altri ancora, infine, possono reagire con vari gradi di dolore (dal “ma porca miseria, va beh...” al “e ora che faccio?”) ma comunque, armati di colla, speranza e un pizzico di inventiva, rimettono le cose a posto e ripartono.
Ripartire... parola magica, coraggiosa, fiera. Ripartire significa mettere da parte la paura, e rimettersi in pista. Significa affrontare demoni più o meno brutti e cattivi, e dire loro: “Scansati, io ci riprovo”. Significa sentire le gambe tremare, le mani sudare, vedere il tuo modello come una colomba in mezzo a chissà quali falchi pronti a farla fuori. Ed ecco il secondo aspetto educativo.
Fattore educativo 2: la resilienza
Con resilienza si intende -
per farla breve - la capacità di reagire in modo ottimale a stimoli negativi.
Ripartire dopo un crash è ad esempio
sintomo di resilienza. Ma... accidenti se insegna!
Qualunque cosa accada, dal brutto voto a scuola, alla fine di un
amore, al lutto per un familiare o l’animale del cuore, ripartire significa
(scusate l’espressione) “tirare fuori le palle”. Che poi lo si faccia
strisciando tra pozze di lacrime e vomito d’anima, oppure con la faccia tosta
incarnata ad esempio da Tom Cruise in “Top Gun”, poco importa. L’importante è
alzarsi... in questo caso in volo.
Se riuscirò a farlo al campo, allora potrò farlo anche a casa, sul
lavoro ecc. E viceversa: se sono in grado di farlo in casa, sul lavoro, perché
non posso farlo anche in pista?
Fattore educativo 3: la socialità
I primi crash ti insegnano
che avere degli amici modellisti è come trovare acqua nel deserto. A meno che
tu non sia un bricoman con i fiocchi,
ci sarà sempre l’amico che sa come muovere le mani, e da un catorcio spesso
riesce a tirare fuori un modello ancora volante. Dunque coltivare rapporti di
amicizia - sincera, però, non opportunista - è cosa “buona e giusta”. Anche in
questo caso l’aeromodellismo può essere uno stimolo alla socialità. Ma
attenzione: qui stiamo “giocando tutti”, cioè siamo posti per qualche ora in un
universo parallelo dove non ci sono le regole dell’arena del mondo, semmai gentlemen’s agreements, ovvero regole
diverse, più amichevoli, quasi più sincere. Quindi non fare l’errore madornale
di “fare lo splendido” offrendo falsa amicizia legata solo al tuo tornaconto.
“Beccarti” sarà facile... e inesorabili saranno le conseguenze.
Fattore educativo 4: la manualità
Ho appena detto che non tutti siamo bricomen. Tuttavia la necessità e l’ingegno, ti faranno presto
capire che ad esempio uno stuzzicadenti non serve solo per pulirsi i denti...
ma anche ad esempio per fissare una parte di ala; che il phon può raddrizzare un
pezzo di fusoliera in polistirolo; che nell’acqua bollente puoi non solo
metterci la pasta, ma anche un pezzo di aereo (per pochi istanti, però) al fine
di ridargli vita.
Tutto questo, ovviamente, parlando di aerei perlopiù RTF (ready to fly) cioè da assemblare in poco
tempo e far volare. Se invece vogliamo accennare a quello che per decenni è
stato l’aeromodellismo, basato su autocostruzioni quasi da esperto artigiano,
allora risulta ancora più evidente come questo hobby possa insegnare una
manualità sopraffina. Ma non solo. Può allenare la pazienza, la precisione, la
determinazione per finire il progetto ecc.
Fattore educativo 5: l’umiltà
Ahi... che parola piena di polvere e muffa, tanto poco viene tirata
fuori dal vocabolario! Comunque... Appare quasi scontato che - secondo quanto
detto prima - di fronte ad una divinità l’atteggiamento giusto sia quello di
essere umili. Quindi anche di fronte al Dio
Crash ogni atteggiamento spavaldo rischia di essere punito severamente. Ad
esempio: non mi metto a fare un 8 cubano
se appena appena so decollare col mio modello. Aspetto, con calma e pazienza di
essere più bravo. Umiltà significa dunque non correre, fare un passo alla
volta, ma anche avere il coraggio di tornare all’ABC del volo se per caso
scopro di avere delle lacune o proprio
dei limiti.
Umiltà è anche saper ascoltare i suggerimenti dei modellisti anziani
(di esperienza, non necessariamente d’età) che quasi sempre sono volti ad una
maggiore sicurezza, oltre che ad un
piacere di volo più responsabile. Ma anche qui, prima occorre mettere in moto
la socialità di cui sopra...
Umiltà significa infine accontentarsi di un modello basilare, magari
non stupendo, ma utile per farti imparare i rudimenti. Per modelli super ci
sarà tempo... e denaro.
Conclusioni: chi ha orecchie, occhi e cuore impara
Dunque l’aeromodellismo può essere un hobby educativo? Certamente sì.
Ma come ogni cosa occorre “porsi in ascolto”, ovvero interpretare ogni segnale
che può darci e tradurlo in consiglio, insegnamento, ferita da leccare ma poi
da mostrare con orgoglio. Significa essere e restare umili di fronte al Dio Crash, ma anche al Dio Vento, alla Dea Gravità ecc. In questo modo si può crescere, a livello di
pilota e di persona. Umili... non succubi. Ciò vuol dire affrontare tutto in
modo cosciente, ma non strisciante. Perché di fronte alla Dea Paura molti potrebbero soccombere... inutilmente.
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