mercoledì 6 luglio 2022

Aeromodellismo: perché ci piace?

È sempre difficile, se non proprio “arrogante”, tentare di capire le ragioni di una passione. Tanti sono infatti gli elementi in gioco, molti dei quali trovano origine e spiegazione all’interno della psicologia “di massa” ma anche del singolo. Lo stesso vale per l’aeromodellismo. Perché ci appassiona? Quali leve psicologiche ed emotive va a toccare? Da dove nasce questo interesse?

Primi elementi di analisi

Partiamo da un dato di fatto. È un hobby praticato per il 90-95% da uomini. È dunque un interesse prettamente maschile, anche se non mancano delle eccezioni. Ma tali sono e restano. Dunque per qualche ragione resta una prerogativa dei “maschietti”. Quale? Escludiamo subito quella economica. Oggigiorno avvicinarsi a questa pratica sportiva non costa più che iniziare ad esempio a sciare, oppure intraprendere un qualsiasi altro sport che necessiti di supporti fisici per essere praticato (es, il tiro con l’arco, il pattinaggio ecc). Ciò vuol dire che sia uomini che donne possono in teoria iniziare, disponendo di denaro sufficiente almeno per un kit basico: radio e modello economico. Sociale? Direi proprio di no. Dopo che abbiamo donne pugili e combattenti di arti marziali, direi che non c’è ragione per cui il cosiddetto gentil sesso non possa avvicinarsi all’aeromodellismo. Allora culturale? In parte sì, ma solo se facciamo riferimento alla tipologia di educazione ludica (in sostanza: come siamo stati abituati a giocare) ricevuta nell’infanzia. Ritengo dunque che qui vada ricercata non solo la ragione di questa dicotomia sessista (è un hobby perlopiù maschile) ma anche quella del perché piace. 

Femmine e maschi: un modo diverso di giocare

Fatte le dovute e frequenti eccezioni, di norma possiamo dire che prettamente maschile è il gioco di movimento (calcio, guerra simulata, uso in generale del corpo per lo scontro fisico, lo sport di contatto ecc.) mentre femminili sono giochi più statici (bambole, giochi di precisione, sport non di contatto ecc.). Ma non solo: perlopiù maschili sono giochi che di questo movimento diventano espressione simulata: macchinine, trenini, aerei, e così via. Anche se vale per entrambi (maschi e femmine) la tipologia di gioco di ruolo: “Facciamo che io sono il poliziotto e tu il ladro”; ma anche: “Facciamo che io sono una stilista e devo vestire le tue Barbie”. Proprio in questo mix tra gioco di ruolo e gioco di movimento sta proprio la radice della passione aeromodellistica; il tutto lo riassumo nella seguente espressione: l’aeromodellismo è la sublimazione in età più o meno  adulta di un gioco di movimento che è anche, in molti casi, un gioco di ruolo.

Mi spiego meglio...

Fino alla mia generazione (nati entro gli anni ’60-’70) esisteva spesso un passaggio quasi epocale dal gioco puramente statico (es. il modellino di macchina) a quello filoguidato (il modellino era collegato con un cavo alla manopola di controllo che lo faceva muovere tramite motorino elettrico) fino ad arrivare a quello radiocomandato. Il passaggio da uno all’altro era economico (quelli filoguidati e radiocomandati costavano di più), esperienziale (occorreva una manualità più sviluppata) e perfino sociale (chi aveva modelli radiocomandati suscitava ammirazione e finanche invidia nel gruppo dei coetanei). L’ambizione era dunque arrivare al modello radiocomandato: più divertente, difficile, ma soprattutto più realistico. Sì perché il rumore non era quello fatto dalla bocca di chi giocava, ma era quello del motorino che lo muoveva. Ma soprattutto si muoveva senza vincoli di cavi o altro, dunque “sembrava più vero”.  
Da qui a sentirsi piloti, camionisti, militari addetti ai carri armati o ammiragli di navi, il passo era breve. E qui torna il gioco di ruolo: “Facciamo che sono un pilota di auto da corsa”. Ebbene, con una piccola Ferrari radiocomandata posso sentirmi tale in maniera molto più forte che se avessi solo un modellino in metallo da muovere a mano.
Ecco allora che entrano in gioco due fattori fondamentali: il già citato gioco di ruolo ma soprattutto l’imitazione della realtà che si lega al primo a doppio filo. Tornando al nostro esempio: se io voglio sentirmi un pilota della Ferrari, comprerò un modellino radiocomandato che sia il più possibile rappresentativo delle vere auto da corsa, ma anche - se possibile - indosserò il berretto usato dai piloti e magari pure la maglietta con il cavallino rampante. Il tutto per imitare il più possibile la realtà: in miniatura, ovviamente.
Facendo così potrò sentirmi il pilota che magari non potrò (o vorrò) mai essere, riducendo a zero i pericoli che comporta una professione così pericolosa. Darò dunque soddisfazione al mio desiderio, contenendolo tuttavia in parametri tali da non generare in me paura, in quanto non ci sono pericoli per la mia salute e la mia integrità.

Il caso dell’aeromodellismo


L’hobby dell’aeromodellismo - assunto spesso ad una altisonante quanto eccessiva pratica sportiva, ma che di fatto è un gioco e tale resta - racchiude in sé un po’ tutti i concetti appena esposti. Ho detto che è un gioco perché di fatto non posso considerarlo uno sport. È un hobby? Certamente. È una passione? Certamente anche in questo caso. Ma per la precisione è “la sublimazione (...) di un gioco di movimento”. 

Cosa vuol dire?

Vuol dire che è l’espressione più complessa ed economicamente impegnativa proprio di quel giocattolo radiocomandato usato da bambini, che era una forte rappresentazione del gioco di movimento e che identifica soprattutto i maschietti. Parliamoci chiaro: l’aeromodellismo è un hobby per adulti o semi-adulti (ovvero anche teenager). Semplicemente perché impone costi non disponibili in genere dal pargolo e una manualità che spesso si raggiunge solo in età pre-adolescenziale o adolescenziale. Che poi il papà compri il modello al figlio di 8 anni, è una sorta di scappatoia.

Ma analizziamo più da vicino questo hobby. Abbiamo un modello (per semplificare parliamo solo di aereo, non di drone o elicottero) che rappresenta una realtà miniaturizzata - cioè il modello di un aeromobile - e che è in grado di volare (cioè muoversi) senza vincoli fisici (cavi o altro; escludo in questo caso il volo vincolato*). In questo senso parlo di sublimazione, poiché rappresenta la massima espressione (in termini di tecnologia e complessità) proprio del radiocomando giocattolo tanto agognato da piccoli. Resta insomma un giocattolo, ma per adulti oppure per ragazzini con padri economicamente compiacenti e disponibili.
In questo senso è facile capire perché l’aeromodellismo sia prerogativa soprattutto maschile: semplicemente perché prosegue quel filone di gioco di movimento che caratterizza in genere l’attività ludica dei maschietti rispetto alle femminucce.
Non solo. L’aeromodellismo interpreta perfettamente anche il gioco di ruolo. Alzi la mano chi, facendo muovere il suo modello - soprattutto se riprende più o meno fedelmente le fattezze di un aereo esistito o esistente - non ha mai provato per un attimo la sensazione di essere un pilota... Credo nessuno.  Ma è chiaro! Questo hobby ha in questo senso tanti vantaggi: non mette a rischio la nostra integrità fisica (a cadere è eventualmente il modello, ma io non sono a bordo); ci permette di stare con i piedi letteralmente per terra (quindi posso anche avere timore di volare, ma tanto... non vado in aria!); non prevede il lungo periodo di addestramento e i costi in termini di denaro che prendere il brevetto da pilota comporta.
Insomma la frase “Facciamo finta che io sia un pilota” sembra quasi risuonare in ogni angolo di un campo volo per aeromodelli. Ecco allora spiegata per intero l’espressione:  l’aeromodellismo è la sublimazione in età più o meno  adulta di un gioco di movimento che è anche, in molti casi, un gioco di ruolo.

Attenzione, però. L’identificazione nel ruolo di “pilota” ha tante sfaccettature. Vediamone qualcuna:

-) Non potrò mai essere un pilota vero, ma mi sento di esserlo attraverso il mio modello. 
-) Vorrei essere un pilota “vero” ma per X ragioni non posso diventarlo. Mi “consolo” facendo volare gli aeromodelli. 
-) Sono un pilota civile/militare ma ugualmente mi piace far volare gli aeromodelli. Questi ultimi non soddisfano dunque la mia aspirazione a diventare pilota (lo sono già) ma unicamente il lato ludico di questo hobby.

Allora, perché piace? 

    Eccoci arrivati a rispondere alla domanda di partenza: perché piace l’aeromodellismo? Il tutto - ormai è chiaro - a mio parere nasce dalle dinamiche di gioco in età molto tenera. Fa leva su meccanismi ben noti (il piacere del gioco di movimento e di ruolo) e permette di dare sfogo a fantasie spesso fanciullesche (“voglio diventare un pilota di aerei”) attraverso scorciatoie più semplici, economiche e meno pericolose.

A tutto questo credo però che vadano aggiunti altri fattori che riassumo qui di seguito:

  Fattore estetico - Nella maggior parte dei casi l’aeromodellista ama gli aerei. Li trova belli, affascinanti. Il fatto di vedere tale bellezza prendere vita in volo, è un piacere supplementare. Ricordo ad esempio il primo volo del mio modello-scuola. Bello a terra, era meraviglioso in aria!

Fattore emozionale -
L’idea di potere e sapere gestire un oggetto in movimento in un ambiente (l’aria) che certo non è propriamente il nostro, ci può dare una soddisfazione grande. È un po’ come superare i propri limiti “naturali”, come ad esempio immergersi in mare (altro ambiente non tipicamente umano).

Chi è allora l’aeromodellista? Un bambino mai cresciuto? Affatto! È un bambino cresciuto, nel senso che ha maturato e “portato a compimento” un ciclo ludico che è partito dall’aeroplanino a frizione di plastica e si conclude magari con un modello a turbina da svariate migliaia di euro. Cambia l’oggetto ma non lo spirito. E questo lo trovo meraviglioso! 

 * Nel volo vincolato non c'è bisogno della radio in quanto il modello è governato da cavi tenuti in mano dal pilota. Tuttavia rappresenta una sorta di aeromodellismo primigenio, sorpassato dal volo "libero", con la radio e senza cavo

Nota: sono graditi eventuali commenti a questo articolo. Li potete postare direttamente alla mia mail:
stefano.nicelli@gmail.com





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