giovedì 16 maggio 2024

Ciao Elio...

Il 4 giugno 2022 ci lasciava Elio Corongiu, storico presidente e fondatore del nostro Gruppo Modellisti Sportivi Ceriano Laghetto. All'avvicinarsi del secondo anniversario, gli dedico questa lettera...


Ti scrivo in una giornata di pioggia. Una di quelle che noi aeromodellisti odiamo, perché ci tiene lontani dal campo, ma che tuttavia ci serve per aggiustare o creare i nostri modelli. Pioveva anche nei giorni successivi al tuo funerale, mentre incollato alla finestra guardavo da casa mia il vuoto e lasciavo che la malinconia fosse il luogo più vicino dove restare accucciati.
Ti scrivo da lontano, da quel “piccolo mondo” che tu hai voluto, amato, curato e difeso sempre, talvolta come un buon pastore, altre come un mastino da gregge che non conosce vie di mezzo. E quel mondo c’è ancora: ferito, magari decimato, pervaso da tanto amore e qualche goccia di veleno, ma c’è ancora, insieme all’odore dell’erba tagliata e del vento che ci ha sempre accompagnato in ogni momento. Quello stesso vento che ora certamente cavalchi con la perizia del pilota di lungo corso, e dell’anima leggera che stai imparando ad essere.

Sai, maestro, ci sono due cose che mi sono rimaste impresse a fuoco nell’anima. La prima sono le tue ultime parole al telefono, pochi giorni prima del tuo ultimo decollo: ti chiesi se eri soddisfatto del lavoro fatto dal nuovo direttivo che avevo iniziato a presiedere. E tu, credo sorridendo, mi risposi: «State facendo un buon lavoro». Per me era come una medaglia, il suggello dato al testimone che passava di mano in mano. La certezza che stavamo seguendo il tuo sentiero, fatto di principi ed un profondo amore per questo gruppo di non più ragazzi che continua a divertirsi a volare.
La seconda è quel pomeriggio, poco dopo la tua scomparsa, quando un gruppo di noi si è riunita al campo: senza modelli, solo per ritrovarsi, per dividere con gli altri lo choc della notizia, lo smarrimento dell’aver perso comunque un punto di riferimento. C’era tristezza, sì, ma anche dolcezza, malinconia, e persino un pizzico di divertimento nel ricordare i tuoi atteggiamenti più burberi, rudi come una roccia sarda, ma sempre dettati da quel lago d’amore che ti inondava quel corpo minuto e segnato dal tempo.

Ti scrivo ora, in una giornata di pioggia, mentre la mia bestiola volante dormicchia proprio sopra la mia testa. Perché domani tornerà il sole. Domani si tornerà al campo, su quell’erba che conosce ogni cellula di te. Perché domani voleremo come in un prepotente inno alla vita. E domani rideremo ancora, talvolta ci si righerà il viso di una lacrima, ma sempre sfideremo le entità di quel posto sperduto nella campagna brianzola, sognandoci Icaro ma tanto terreni ed umani da ammettere, ancora una volta, che ci manchi.  


sabato 4 maggio 2024

Giocare è una cosa seria

Non più tardi dell’altro giorno scrivo un messaggio ad un amico aeromodellista dicendo: “Ma si può, a pochi mesi di distanza dai 60 anni, comprare un carrarmato radiocomandato?”, aggiungendoci una faccina sorridente. Per tutta risposta ricevo una sfilza di faccine che ridono e una frase: “ Tutto è possibile. Siamo adulti ma per fortuna anche bambini”.

In questa risposta sta uno dei concetti tipici probabilmente non soltanto di quest’epoca, ma anche assolutamente comune al modo di pensare di molti: il gioco è prerogativa dei bambini, perché gli adulti non giocano. E se lo fanno, vuol dire che tornano idealmente in quella dimensione (l’essere bambini) in cui appunto il gioco è permesso e socialmente accettato. Ovvero: coscientemente, abbandonano il loro status di persone cresciute, e giocano a fare i bambini, come una sorta di gioco di ruolo tuttavia regolato da tempi e modalità precise.

Già nel mio libro Voglia di volo (3ª edizione Amazon, 2019) ho detto che praticare l’aeromodellismo rompe questo schema mentale. Ci ritorno oggi perché il caso è diverso.

Molti psichiatri (tra cui il noto Raffaele Morelli di «Riza Psicosomatica») da anni ripetono che il cervello ha bisogno di giocare: di ricevere stimoli sempre nuovi, ad esempio quelli derivanti dal “far finta che piloti un carrarmato” per restare giovane. Ed è un concetto facilmente comprensibile: la routine, la vita priva di stimoli, il disinteresse per emozioni nuove di fatto invecchia il nostro cervello; lo relega ad un ripetersi di azioni che inibiscono il formarsi di nuovi schemi mentali, e quindi anche di sinapsi[1]. Ma, allora, perché un adulto non può giocare? E, attenzione, non mi riferisco al gioco “istituzionalizzato” come ad esempio il gioco-sport (tennis, calcio ecc.) oppure il gioco apparentemente più “maturo” (come possono essere quelli di carte o i giochi di ruolo da tavolo). Perché molti di noi si schiferebbero a vedere un sessantenne giocare a soldatini (attenzione anche qui: da solo, non per far divertire dei bambini) e subito lo boccerebbero come immaturo? E perché (quando ancora si compravano i giocattoli in negozio e non on line) molti adulti si mascheravano dietro alla bugia “è per mio nipote…” quando invece quella macchinina formidabile era invece per lui? Perché, insomma, il giocattolo deve essere considerato unicamente prerogativa del bambino (fino una certa età) e non dell’adulto?

Perché sul giocattolo esistono pregiudizi nati da una sciocca morale sociale e duri a morire. Ad esempio ricordo che tantissimi anni fa, nel fare una serie di servizi per un giornale locale, chiesi ad una neuropsichiatra infantile: “Ma la distinzione rosa/azzurro per distinguere i giocattoli per femmine e maschi, ha ragion d’essere?”. La risposta fu perentoria: “Assolutamente no. È solo una convenzione per i genitori”.
Ma anche perché il giocattolo è stato spogliato della sua formidabile valenza non soltanto educativa, ma anche fisiologica (quella insomma di nutrire il cervello): i famosi giocattoli educativi di una nota marca italiana, sono un “non senso”, perché il giocattolo (fosse anche solo un pezzo di legno colorato a mo’ di mitra,  fucile, o bastone magico) è esso stesso educativo.  Il giocattolo stimola difatti la fantasia, la nutre, ci porta ad interpretare ruoli come il pilota, il soldato, l’eroe, il marinaio ecc. che sono una manna per le nostre sinapsi, per le nostre emozioni e per mettere alla prova la nostra personalità.
In conclusione: schiacciati da questi pregiudizi ormai cronici, gli adulti “sani di mente e giocosi” provano una sorta di “vergogna sociale” a giocare fuori dagli schemi concessi dal vedere comune. Allora giocano nella solitudine della loro abitazione (lontano da possibili sguardi severi) oppure spesso si ghettizzano in gruppi di pari (ad esempio il gruppo di uomini che gioca a fare la guerra simulata, oppure rievoca epoche passate come il Medioevo o il tempo dei Romani), perché lì sanno che trovano comprensione e solidarietà.

La prossima volta che vedete un adulto giocare, allora, vi prego: prima di tacciarlo immediatamente – e senza appello - come un eterno Peter Pan o un immaturo, scambiateci due parole: magari è una persona intellettualmente meravigliosa, che ha solo una sana voglia di giocare, e non necessariamente perché “resta un bambino”.

Ah… dimenticavo… il carrarmato è già stato spedito dalla Cina e non vedo l’ora che arrivi… :-)



[1] Connessione funzionale tra due cellule nervose