Era il giugno del 2013 quando per la prima volta raggiunsi un campo
volo; da pilota, non da semplice spettatore. ll mio modello U Can Fly della Hype
riluccicava al sole come il mio sorriso. Intonso, perfetto, l’unico pezzo rimasto
in tutta la Lombardia e Piemonte (sarebbe andato fuori produzione di lì a poco), tanto che mi feci 150 chilometri per andarlo
a prendere di persona a Montalto Dora (TO). Poi lanciai un appello in Rete, e il responsabile
gentilissimo di un campo dalle parti di Monza rispose. O, meglio, raccolse quel
pulcino impaurito per fargli fare i primissimi voli da aquilotto. E per dare
finalmente vita al mio modello che subito chiamai Cuča (si pronuncia cucia, ma suona anche come "cuccia") che in croato significa casa. L’auspicio era chiaro: era una
scaramanzia affinché il modello tornasse sempre a casa. Magari intatto.
La foto con l’aereo rosso risale proprio a quel battesimo dell’aria.
Rigido come una pertica, con il cuore a mille, feci volare la mia “bestiola”
senza danni. Roba da stappare una bottiglia a sera e cucinare i miei piatti
preferiti.
Da allora non sono solo passati dieci anni, ma se vogliamo un’intera
era. Molte cose sono cambiate, ma non quella sottile ansia che ad ogni volo
(ormai saranno qualche centinaio) resta in tutto il corpo, salvo poi
stemperarsi una volta che i ruotini fermano la loro corsa sull’erba. Ormai l’ho
accettata l’ho accolta come parte di me. Era l’unico modo per non esserne
soggiogato.
Lasciato quasi subito quel campo ospite a cui va ancora oggi tutto il
mio riconoscimento (era troppo distante per me), trovai quasi subito l’attuale
campo di Ceriano Laghetto, di cui ora sono orgoglioso presidente. Non tanto per
meriti aviatori (ora so pilotare, sì, ma non sono certo un Francesco Baracca
della situazione), quanto per quel vero e proprio amore per il campo, i suoi
soci e l’ambiente che ho trovato fin dal primo giorno.
Sì... ne è passato di tempo. Ho volato, sono caduto, ho aggiustato,
sono caduto in crisi, mi sono risollevato, ho gioito, ho riso, ho pianto. Ho
fatto tutto. All’aperto, con temperature dai + 4° ai + 35°, e anche dentro di
me.
Nel 2015, quindi solo due anni dopo, arrivò Darko (nella seconda foto, risalente a pochi mesi fa): un
aeromodello nato per l’acrobazia, ma riconvertito nella guida ad un più
tranquillo modello da volo volato come
si dice; in sostanza tranquillo. Con Darko all’inizio non è stato facile, tanto
che per forse tre mesi (dopo l’ennesima caduta) lo parcheggiai in garage, per
tornare al più placido e rassicurante Cuča. Poi l‘orgoglio ha avuto la meglio
sulla paura. Così l’ho ripreso, e nonostante qualche incidente, ora sono quasi
8 anni che è il mio fidato compagno di volo. Le sue ammaccature vanno di pari
passo con le mie rughe; le sue crepe sono le mie. La colla... no... quella è
solo sua!
Se da ragazzo mi avessero detto che alla veneranda età di 48 anni
avrei intrapreso un percorso aeromodellistico, non ci avrei creduto. Eppure...
sono ancora qui, e se Dio vuole, mi piacerebbe festeggiare anche il primo
ventennio, trentennio e così via.
Dieci anni, vissuti intensamente; passati a scrutare il meteo, a
studiare le possibilità di pomeriggi liberi, a prepararsi mentalmente e in
concreto per andare al campo, così
come ormai dico con estrema familiarità. Dieci anni che hanno dato vita a 2
libri (Voglia di Volo e Fame d’aria, rispettivamente: Amazon
2018, e Amazon 2021), di cui il primo tradotto e venduto all’estero anche in
inglese (Let me fly, Amazon 2020).
Dieci anni di passione, condivisione, amicizia, solidarietà, con luci
e ombre, ma pur sempre vissuti con adrenalina e serotonina in corpo.
Non dimenticherò mai chi, in dieci anni, a vario titolo mi è venuto
incontro, mi ha aiutato da tecnico e da amico, da maestro o da collega. Così
come non dimenticherò mai (né intendo farlo) quella meravigliosa sensazione di
disegnare nel cielo col tuo modello, dimenticando tutto per i 5 minuti della
batteria. Cinque minuti capaci spesso di riempirti il cuore. E in alcuni giorni
anche l’anima.