sabato 25 giugno 2022

Il luogo più vicino dove restare

Oggi la malinconia è il luogo più vicino dove restare. È quanto ho pensato ieri pomeriggio mentre, accucciato a terra col mio cane, ascoltavo la pioggia cadere dalla finestra aperta e gli spruzzi bagnare il viso. E... sì, sono scivolato lentamente nel luogo più vicino; in fondo il più accogliente.

Sono avvezzo alla morte. Purtroppo. Diciamo che non mi ha fatto mancare nulla. Eppure... eppure  c’è un piccolo - sciocco - pensiero che anni fa tradussi nei primi versi di una poesia: “torneranno ancora i nostri morti”. E così quasi mi aspetto d’improvviso, di vedere sollevarsi dalla stradina verso il campo un nugolo di polvere e sbucare il muso della C3 azzurra, la macchina di Elio. E poco dopo sentire ancora una volta: “Stefano hai preparato il caffè?”. “Sì chef...” mi verrebbe da rispondere ora, per allinearmi ai format televisivi in auge. Sì chef... perché ancora oggi invio mail al tuo indirizzo così come non ho tolto il contatto dalla lista di WhatsApp, Facebook ecc.  Perché, chef, forse un giorno tornerai, assieme a mamma, Gino, i cani, ma anche a persone che hanno fatto un pezzo di strada con me e in qualche modo sono stati anche loro maestri, ma di cinofilia, giornalismo, vita: Enrico, Paolo...

Purtroppo so che di molti per cui oggi provo affetto, ci sarà un domani una caratteristica, un frammento, fosse pure un caffè da ricordare. La briosità di uno, la negazione per la tecnologia dell’altro, e così via, quasi che anni di frequentazione potessero ridursi ad una pillola di vissuto.
Sì chef... l’ho preparato il caffè. Di quelli però da bere in tazza, sorretta da entrambe le mani, perché il tepore le scaldi, così come il cuore in una giornata di pioggia seppur agognata.

Oggi la malinconia è il luogo più vicino dove restare. La gioia sta poco più in là. La paura, a fianco.  Ne uscirò da quella stanza, prenderò le chiavi di casa ed uscirò, sollevando anch’io la polvere tra i campi. Perché oggi è un altro giorno. Perché ho imparato presto che bisogna andare avanti. Comunque. E rispondere al Grande Chef... lassù: sì... l’ho preparato il caffè.  

(Nella foto: la stradina sterrata che porta al campo)

sabato 11 giugno 2022

Ciao, maestro...

Elio Corongiu  

Sabato 4 giugno 2022 - h. 6,30 - Questa mattina, all’alba, ho voluto scrivere a Elio. Finché era ancora in vita, seppur sedato e probabilmente incosciente. L’ho voluto fare di corsa, perché non avevo tempo. Non sapevo quando se ne sarebbe andato, e l’importante è che in qualche modo la sua anima abbia potuto recepirla. E avevo ragione. Poche ore dopo ci ha lasciato. Ecco la lettera. È il mio saluto, il mio ringraziamento, il mio dolore.

Ti scrivo mentre ancora ci sei. Anche se lontano, in un mondo sonnifero che ti tiene ancora qui con noi. E lo faccio di proposito, perché spero che in qualche modo le mie parole ti arrivino, finanche in un colloquio sottile tra anime.

Elio, amico, maestro di volo... Elio dal viso consumato come una pietra  della tua Sardegna e il carattere a volte ruvido come un foglio di pane carasau. Eppure pronto come una chioccia a raccogliere sotto la tua ala nuovi aquilotti, innamorati dell’aria. A dare loro consigli, istruzioni, coraggio e bacchettate. Perché il cielo spesso non perdona agli sciocchi la loro stupida arroganza, e i modelli... sì i modelli “hanno sempre ragione loro”, come hai ripetuto fino alla fine.
Nove anni fa, quando con timore e timidezza entrai nel “tuo Gruppo”, diventasti subito il “mio” maestro. La guida, il mentore, colui a cui affidare nuovi modelli da collaudare, la persona a cui chiedere incessantemente di parlarmi dei segreti del volo, del fascino del volo. E ho sempre “bevuto” le tue parole, anche a bordo campo, sapendo che da te avrei imparato. Ed ora che questo è diventato il “mio” Gruppo, ho sempre guardato a te come un saggio depositario di una storia lunga cinquant’anni. Un saggio dal quale a volte dissentire, in una dialettica intelligente e viva.
Non ho tempo. Non hai tempo. Ed allora vorrei che queste mie parole avessero “montato” un motore velocissimo, non certo quello del mio modello preferito.  E che l’aria fosse tersa e leggera. Invece ho il vento a sfavore, e lo sai quanto odi questa condizione. Oggi c’è vento forte e freddo che mi spira nell’anima. Un vento capace di sollevare la pelle a vecchie cicatrici. Mannaggia... la storia si ripete, fosse anche a 40 anni esatti. Sì, era il 1982 quando... ma non importa. Adesso no.

Impotenti come modelli spezzati, ti guardiamo avvicinare la pista, per un ultimo decollo. E lo facciamo con rispetto, in silenzio, come quando prendevi il volo con le tue bestiolone volanti, ruggenti in armonia col motore, irriverenti e gagliarde come poche.
Oggi ci sediamo a bordo pista. Ordinati. Disciplinati. Increduli. Sgomenti. Feriti. Sì, perché in fondo ti convinci sempre che certe persone siano immortali. Che la morte possa solo fargli il solletico al naso e poi salutarle con un marameo irriverente. Invece oggi guardiamo noi il tuo volo. E non ti diremo certo di “stare più a Est” o di “virare più in qua”. Vola come vuoi, maestro. Ora vola come vuoi, fregandotene di regole e sicurezza. Non so se il vento sarà per te buono o no. Ma mi hai insegnato che si vola comunque.

E allora buon volo, amico. Però, ti prego, fammi imparare qualcosa anche ora. Perché il domani sarà lunghissimo. Perché domani ti cercherò tra gli alberi del campo, in cerca dell’ennesimo consiglio. E di un sorriso rugoso.