Chi legge queste pagine, sa bene che - se voglio volare - io non amo il vento, in quanto rappresenta una ulteriore fonte di rischio a cui volentieri faccio a meno. Avendo un modello leggero, infatti, rischio di venire sollevato e sbatacchiato come la tenda di una finestra aperta. Tant’è. Quest’anno in particolare, però, pare che non ci sia giorno al campo senza la sua consueta dose di vento.
Una volta raggiunto,
il più delle volte mi capita di passare decine di minuti in “piccionaia” con l’occhio
fisso alla manica a vento, in attesa che si disponga lungo una traiettoria
ottimale, o che comunque segni che il vento è in calo. Un tempo certamente
avrei evitato tanti voli che ora invece faccio, nonostante le folate insidiose.
Se però l’aria è troppa, no. Allora mi fermo. Aspetto.
Una cosa curiosa
che almeno due o tre volte è successa è però questa: d’un tratto il vento
cessa; la manica a vento diventa una matita verticale. Ed io, che sono già in “agguato”,
decollo immediatamente per non perdere quell’insolita pausa. Durante i circa 5
minuti di volo tengo sempre all’erta occhi e pelle per capire se per caso il
vento è ripreso. Ma nulla... “Forse ce la faccio”, mi ripeto. E infatti atterro
senza vento e dunque senza patemi d’animo. Raggiungo il modello, percorro quei
30 metri che mi separano dalla piccionaia e... ed ecco che il vento riprende.
Prima una folata. Poi due, tre. Infine diventa teso e costante.
So che non è
vero, ma mi piace pensare che quella pausa sia stata un omaggio di Eolo ai miei
limiti. Una sorta di inchino a Darko e il suo pilota. Un inchino del vento, a
cui altri arditi, ora, stanno lanciando la sfida rullando sulla pista...
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