venerdì 8 luglio 2022

Aeromodellismo: perché è educativo

Se mi fosse dato il compito di seguire fin dall’inizio un pilota neofito (sia esso ragazzino o adulto), la prima cosa che gli direi è: «Guarda bene il tuo modello nuovo di zecca, così lucido nelle finiture, così sinuoso in ogni sua parte. Guardalo bene perché a breve non sarà più così. Avrà ammaccature, graffi, pezzi rabberciati e la colla sarà la tua migliore amica. Sì, perché è inevitabile, e tremendamente scontato, che qualche incidente capiterà. Più o meno grave. Ma capiterà».

Ora, non sono certo il tipo che vuole scoraggiare fin da subito, quasi con uno spirito sadico. Anzi. Ma dire subito le cose come stanno, è anche questo un modo per far capire a tutti che... abbiamo a che fare con un hobby che necessariamente richiede un sacrificio - quasi fosse una divinità d’altri tempi. E ad essere sacrificato è proprio il modello: si capirà in fretta che forze quasi “oscure” lo tireranno giù di botto, lo faranno smusare a terra, ne devieranno la traiettoria di decollo verso l’immancabile campo di granoturco, avvicineranno magicamente i rami degli alberi ma soprattutto renderanno la forza di gravità quasi feroce. Che poi “oscure” lo potranno essere davvero forse nell’1% dei casi. Nel restante 99% si tratterà perlopiù di imperizia, e raramente di vera e propria “sfiga”. Quindi, anche nella quasi incredibile capacità del nostro modello di guadagnare il cielo (ancora oggi, nonostante la scienza mi spieghi il perché può farlo, mi resta un alone di fascino), alla fine non c’è nulla di misterioso: se cadi è quasi sempre colpa tua. Si rompe un meccanismo? Anche qui è probabilmente colpa tua, perché hai lesinato sulla qualità o non hai controllato bene prima di decollare. Te l’ha tirato giù una folata di vento? Ok. Ma perché volavi così basso? Ricorda che quota è vita, cioè finché stai in alto, puoi cercare di rimediare. E così via. Dunque, caro neofita, te la senti di continuare? Spero, per te, di sì.

Fattore educativo 1: la determinazione

Sono profondamente convinto che l’aeromodellismo possa essere molto educativo. Ad ogni età. In primo luogo giova alla determinazione. Alla luce della mia introduzione, è chiaro come solo una persona determinata possa decidere di proseguire e non lasciare il suo modello sonnecchiare - intonso - in garage. Ma, attenzione, si tratta di un livello di determinazione piuttosto mediocre. Ben diversa è ad esempio quella necessaria a iniziare e concludere un ciclo universitario; a restare legati ad un posto di lavoro; a smettere di fumare; a non smettere di sognare...
C’è chi magari, posto di fronte alla sola prospettiva dell’incidente (crash), decide di mollare. Altri invece possono accettare questo sacrificio imposto dalla divinità, ma solo a parole, e di fronte alla prima caduta, ricoverano tutta l’attrezzatura in soffitta. Altri ancora, infine, possono reagire con vari gradi di dolore (dal “ma porca miseria, va beh...” al “e ora che faccio?”) ma comunque, armati di colla, speranza e un pizzico di inventiva, rimettono le cose a posto e ripartono.
Ripartire... parola magica, coraggiosa, fiera. Ripartire significa mettere da parte la paura, e rimettersi in pista. Significa affrontare demoni più o meno brutti e cattivi, e dire loro: “Scansati, io ci riprovo”. Significa sentire le gambe tremare, le mani sudare, vedere il tuo modello come una colomba in mezzo a chissà quali falchi pronti a farla fuori. Ed ecco il secondo aspetto educativo.


Fattore educativo 2: la resilienza

Con resilienza si intende - per farla breve - la capacità di reagire in modo ottimale a stimoli negativi. Ripartire dopo un crash è ad esempio sintomo di resilienza. Ma... accidenti se insegna!
Qualunque cosa accada, dal brutto voto a scuola, alla fine di un amore, al lutto per un familiare o l’animale del cuore, ripartire significa (scusate l’espressione) “tirare fuori le palle”. Che poi lo si faccia strisciando tra pozze di lacrime e vomito d’anima, oppure con la faccia tosta incarnata ad esempio da Tom Cruise in “Top Gun”, poco importa. L’importante è alzarsi... in questo caso in volo.
Se riuscirò a farlo al campo, allora potrò farlo anche a casa, sul lavoro ecc. E viceversa: se sono in grado di farlo in casa, sul lavoro, perché non posso farlo anche in pista?


Fattore educativo 3: la socialità

I primi crash ti insegnano che avere degli amici modellisti è come trovare acqua nel deserto. A meno che tu non sia un bricoman con i fiocchi, ci sarà sempre l’amico che sa come muovere le mani, e da un catorcio spesso riesce a tirare fuori un modello ancora volante. Dunque coltivare rapporti di amicizia - sincera, però, non opportunista - è cosa “buona e giusta”. Anche in questo caso l’aeromodellismo può essere uno stimolo alla socialità. Ma attenzione: qui stiamo “giocando tutti”, cioè siamo posti per qualche ora in un universo parallelo dove non ci sono le regole dell’arena del mondo, semmai gentlemen’s agreements, ovvero regole diverse, più amichevoli, quasi più sincere. Quindi non fare l’errore madornale di “fare lo splendido” offrendo falsa amicizia legata solo al tuo tornaconto. “Beccarti” sarà facile... e inesorabili saranno le conseguenze.

Fattore educativo 4: la manualità

Ho appena detto che non tutti siamo bricomen. Tuttavia la necessità e l’ingegno, ti faranno presto capire che ad esempio uno stuzzicadenti non serve solo per pulirsi i denti... ma anche ad esempio per fissare una parte di ala; che il phon può raddrizzare un pezzo di fusoliera in polistirolo; che nell’acqua bollente puoi non solo metterci la pasta, ma anche un pezzo di aereo (per pochi istanti, però) al fine di ridargli vita.
Tutto questo, ovviamente, parlando di aerei perlopiù RTF (ready to fly) cioè da assemblare in poco tempo e far volare. Se invece vogliamo accennare a quello che per decenni è stato l’aeromodellismo, basato su autocostruzioni quasi da esperto artigiano, allora risulta ancora più evidente come questo hobby possa insegnare una manualità sopraffina. Ma non solo. Può allenare la pazienza, la precisione, la determinazione per finire il progetto ecc.


Fattore educativo 5: l’umiltà

Ahi... che parola piena di polvere e muffa, tanto poco viene tirata fuori dal vocabolario! Comunque... Appare quasi scontato che - secondo quanto detto prima - di fronte ad una divinità l’atteggiamento giusto sia quello di essere umili. Quindi anche di fronte al Dio Crash ogni atteggiamento spavaldo rischia di essere punito severamente. Ad esempio: non mi metto a fare un 8 cubano se appena appena so decollare col mio modello. Aspetto, con calma e pazienza di essere più bravo. Umiltà significa dunque non correre, fare un passo alla volta, ma anche avere il coraggio di tornare all’ABC del volo se per caso scopro di avere delle lacune o  proprio dei limiti.
Umiltà è anche saper ascoltare i suggerimenti dei modellisti anziani (di esperienza, non necessariamente d’età) che quasi sempre sono volti ad una maggiore sicurezza,  oltre che ad un piacere di volo più responsabile. Ma anche qui, prima occorre mettere in moto la socialità di cui sopra...
Umiltà significa infine accontentarsi di un modello basilare, magari non stupendo, ma utile per farti imparare i rudimenti. Per modelli super ci sarà tempo... e denaro.


Conclusioni: chi ha orecchie, occhi e cuore impara

Dunque l’aeromodellismo può essere un hobby educativo? Certamente sì. Ma come ogni cosa occorre “porsi in ascolto”, ovvero interpretare ogni segnale che può darci e tradurlo in consiglio, insegnamento, ferita da leccare ma poi da mostrare con orgoglio. Significa essere e restare umili di fronte al Dio Crash, ma anche al Dio Vento, alla Dea Gravità ecc. In questo modo si può crescere, a livello di pilota e di persona. Umili... non succubi. Ciò vuol dire affrontare tutto in modo cosciente, ma non strisciante. Perché di fronte alla Dea Paura molti potrebbero soccombere... inutilmente.

  

mercoledì 6 luglio 2022

Aeromodellismo: perché ci piace?

È sempre difficile, se non proprio “arrogante”, tentare di capire le ragioni di una passione. Tanti sono infatti gli elementi in gioco, molti dei quali trovano origine e spiegazione all’interno della psicologia “di massa” ma anche del singolo. Lo stesso vale per l’aeromodellismo. Perché ci appassiona? Quali leve psicologiche ed emotive va a toccare? Da dove nasce questo interesse?

Primi elementi di analisi

Partiamo da un dato di fatto. È un hobby praticato per il 90-95% da uomini. È dunque un interesse prettamente maschile, anche se non mancano delle eccezioni. Ma tali sono e restano. Dunque per qualche ragione resta una prerogativa dei “maschietti”. Quale? Escludiamo subito quella economica. Oggigiorno avvicinarsi a questa pratica sportiva non costa più che iniziare ad esempio a sciare, oppure intraprendere un qualsiasi altro sport che necessiti di supporti fisici per essere praticato (es, il tiro con l’arco, il pattinaggio ecc). Ciò vuol dire che sia uomini che donne possono in teoria iniziare, disponendo di denaro sufficiente almeno per un kit basico: radio e modello economico. Sociale? Direi proprio di no. Dopo che abbiamo donne pugili e combattenti di arti marziali, direi che non c’è ragione per cui il cosiddetto gentil sesso non possa avvicinarsi all’aeromodellismo. Allora culturale? In parte sì, ma solo se facciamo riferimento alla tipologia di educazione ludica (in sostanza: come siamo stati abituati a giocare) ricevuta nell’infanzia. Ritengo dunque che qui vada ricercata non solo la ragione di questa dicotomia sessista (è un hobby perlopiù maschile) ma anche quella del perché piace. 

Femmine e maschi: un modo diverso di giocare

Fatte le dovute e frequenti eccezioni, di norma possiamo dire che prettamente maschile è il gioco di movimento (calcio, guerra simulata, uso in generale del corpo per lo scontro fisico, lo sport di contatto ecc.) mentre femminili sono giochi più statici (bambole, giochi di precisione, sport non di contatto ecc.). Ma non solo: perlopiù maschili sono giochi che di questo movimento diventano espressione simulata: macchinine, trenini, aerei, e così via. Anche se vale per entrambi (maschi e femmine) la tipologia di gioco di ruolo: “Facciamo che io sono il poliziotto e tu il ladro”; ma anche: “Facciamo che io sono una stilista e devo vestire le tue Barbie”. Proprio in questo mix tra gioco di ruolo e gioco di movimento sta proprio la radice della passione aeromodellistica; il tutto lo riassumo nella seguente espressione: l’aeromodellismo è la sublimazione in età più o meno  adulta di un gioco di movimento che è anche, in molti casi, un gioco di ruolo.

Mi spiego meglio...

Fino alla mia generazione (nati entro gli anni ’60-’70) esisteva spesso un passaggio quasi epocale dal gioco puramente statico (es. il modellino di macchina) a quello filoguidato (il modellino era collegato con un cavo alla manopola di controllo che lo faceva muovere tramite motorino elettrico) fino ad arrivare a quello radiocomandato. Il passaggio da uno all’altro era economico (quelli filoguidati e radiocomandati costavano di più), esperienziale (occorreva una manualità più sviluppata) e perfino sociale (chi aveva modelli radiocomandati suscitava ammirazione e finanche invidia nel gruppo dei coetanei). L’ambizione era dunque arrivare al modello radiocomandato: più divertente, difficile, ma soprattutto più realistico. Sì perché il rumore non era quello fatto dalla bocca di chi giocava, ma era quello del motorino che lo muoveva. Ma soprattutto si muoveva senza vincoli di cavi o altro, dunque “sembrava più vero”.  
Da qui a sentirsi piloti, camionisti, militari addetti ai carri armati o ammiragli di navi, il passo era breve. E qui torna il gioco di ruolo: “Facciamo che sono un pilota di auto da corsa”. Ebbene, con una piccola Ferrari radiocomandata posso sentirmi tale in maniera molto più forte che se avessi solo un modellino in metallo da muovere a mano.
Ecco allora che entrano in gioco due fattori fondamentali: il già citato gioco di ruolo ma soprattutto l’imitazione della realtà che si lega al primo a doppio filo. Tornando al nostro esempio: se io voglio sentirmi un pilota della Ferrari, comprerò un modellino radiocomandato che sia il più possibile rappresentativo delle vere auto da corsa, ma anche - se possibile - indosserò il berretto usato dai piloti e magari pure la maglietta con il cavallino rampante. Il tutto per imitare il più possibile la realtà: in miniatura, ovviamente.
Facendo così potrò sentirmi il pilota che magari non potrò (o vorrò) mai essere, riducendo a zero i pericoli che comporta una professione così pericolosa. Darò dunque soddisfazione al mio desiderio, contenendolo tuttavia in parametri tali da non generare in me paura, in quanto non ci sono pericoli per la mia salute e la mia integrità.

Il caso dell’aeromodellismo


L’hobby dell’aeromodellismo - assunto spesso ad una altisonante quanto eccessiva pratica sportiva, ma che di fatto è un gioco e tale resta - racchiude in sé un po’ tutti i concetti appena esposti. Ho detto che è un gioco perché di fatto non posso considerarlo uno sport. È un hobby? Certamente. È una passione? Certamente anche in questo caso. Ma per la precisione è “la sublimazione (...) di un gioco di movimento”. 

Cosa vuol dire?

Vuol dire che è l’espressione più complessa ed economicamente impegnativa proprio di quel giocattolo radiocomandato usato da bambini, che era una forte rappresentazione del gioco di movimento e che identifica soprattutto i maschietti. Parliamoci chiaro: l’aeromodellismo è un hobby per adulti o semi-adulti (ovvero anche teenager). Semplicemente perché impone costi non disponibili in genere dal pargolo e una manualità che spesso si raggiunge solo in età pre-adolescenziale o adolescenziale. Che poi il papà compri il modello al figlio di 8 anni, è una sorta di scappatoia.

Ma analizziamo più da vicino questo hobby. Abbiamo un modello (per semplificare parliamo solo di aereo, non di drone o elicottero) che rappresenta una realtà miniaturizzata - cioè il modello di un aeromobile - e che è in grado di volare (cioè muoversi) senza vincoli fisici (cavi o altro; escludo in questo caso il volo vincolato*). In questo senso parlo di sublimazione, poiché rappresenta la massima espressione (in termini di tecnologia e complessità) proprio del radiocomando giocattolo tanto agognato da piccoli. Resta insomma un giocattolo, ma per adulti oppure per ragazzini con padri economicamente compiacenti e disponibili.
In questo senso è facile capire perché l’aeromodellismo sia prerogativa soprattutto maschile: semplicemente perché prosegue quel filone di gioco di movimento che caratterizza in genere l’attività ludica dei maschietti rispetto alle femminucce.
Non solo. L’aeromodellismo interpreta perfettamente anche il gioco di ruolo. Alzi la mano chi, facendo muovere il suo modello - soprattutto se riprende più o meno fedelmente le fattezze di un aereo esistito o esistente - non ha mai provato per un attimo la sensazione di essere un pilota... Credo nessuno.  Ma è chiaro! Questo hobby ha in questo senso tanti vantaggi: non mette a rischio la nostra integrità fisica (a cadere è eventualmente il modello, ma io non sono a bordo); ci permette di stare con i piedi letteralmente per terra (quindi posso anche avere timore di volare, ma tanto... non vado in aria!); non prevede il lungo periodo di addestramento e i costi in termini di denaro che prendere il brevetto da pilota comporta.
Insomma la frase “Facciamo finta che io sia un pilota” sembra quasi risuonare in ogni angolo di un campo volo per aeromodelli. Ecco allora spiegata per intero l’espressione:  l’aeromodellismo è la sublimazione in età più o meno  adulta di un gioco di movimento che è anche, in molti casi, un gioco di ruolo.

Attenzione, però. L’identificazione nel ruolo di “pilota” ha tante sfaccettature. Vediamone qualcuna:

-) Non potrò mai essere un pilota vero, ma mi sento di esserlo attraverso il mio modello. 
-) Vorrei essere un pilota “vero” ma per X ragioni non posso diventarlo. Mi “consolo” facendo volare gli aeromodelli. 
-) Sono un pilota civile/militare ma ugualmente mi piace far volare gli aeromodelli. Questi ultimi non soddisfano dunque la mia aspirazione a diventare pilota (lo sono già) ma unicamente il lato ludico di questo hobby.

Allora, perché piace? 

    Eccoci arrivati a rispondere alla domanda di partenza: perché piace l’aeromodellismo? Il tutto - ormai è chiaro - a mio parere nasce dalle dinamiche di gioco in età molto tenera. Fa leva su meccanismi ben noti (il piacere del gioco di movimento e di ruolo) e permette di dare sfogo a fantasie spesso fanciullesche (“voglio diventare un pilota di aerei”) attraverso scorciatoie più semplici, economiche e meno pericolose.

A tutto questo credo però che vadano aggiunti altri fattori che riassumo qui di seguito:

  Fattore estetico - Nella maggior parte dei casi l’aeromodellista ama gli aerei. Li trova belli, affascinanti. Il fatto di vedere tale bellezza prendere vita in volo, è un piacere supplementare. Ricordo ad esempio il primo volo del mio modello-scuola. Bello a terra, era meraviglioso in aria!

Fattore emozionale -
L’idea di potere e sapere gestire un oggetto in movimento in un ambiente (l’aria) che certo non è propriamente il nostro, ci può dare una soddisfazione grande. È un po’ come superare i propri limiti “naturali”, come ad esempio immergersi in mare (altro ambiente non tipicamente umano).

Chi è allora l’aeromodellista? Un bambino mai cresciuto? Affatto! È un bambino cresciuto, nel senso che ha maturato e “portato a compimento” un ciclo ludico che è partito dall’aeroplanino a frizione di plastica e si conclude magari con un modello a turbina da svariate migliaia di euro. Cambia l’oggetto ma non lo spirito. E questo lo trovo meraviglioso! 

 * Nel volo vincolato non c'è bisogno della radio in quanto il modello è governato da cavi tenuti in mano dal pilota. Tuttavia rappresenta una sorta di aeromodellismo primigenio, sorpassato dal volo "libero", con la radio e senza cavo

Nota: sono graditi eventuali commenti a questo articolo. Li potete postare direttamente alla mia mail:
stefano.nicelli@gmail.com