sabato 4 gennaio 2020

La "solaltitudine"

Pronti al decollo...

La pista, oggi, è una tavolozza di varie sfumature di verde. Da quello scuro e umido, tipicamente invernale, a quello più chiaro, insediato dalle offese del freddo e dell’acqua, nonché da zone color fango, segno dell’usura più degli invertebrati del sottosuolo che della stagione. D’altra parte è il 3 gennaio, e mentre qualche coppia cane-padrone ciondola sbuffando vapore, parcheggio la macchina in maniera diligente. Dentro c’è Darko, tre batterie che pullulano di vitalità e la voglia di iniziare l’anno con voli senza problemi, segno scaramantico di una nuova stagione propizia.  

Come d’abitudine ho già lanciato un “messaggio in bottiglia” su WhatsApp: “Oggi sono al campo. Qualcuno mi segue?”. Ma stranamente non ho ricevuto risposta. Poco male. È già capitato che comunque qualcuno lo trovi lo stesso. Invece no. L’area è deserta, nonostante l’ora propizia. Due, forse tre ore di luce da sfruttare, prima che cali il freddo vero a dispetto degli 8 gradi che fa segnare ora il termometro.
Come una buona massaia allora preparo tutto. Apro il gabbiotto, alzo la manica a vento e tiro fuori dalla macchina tutto l’occorrente. E aspetto. Pochi minuti mi bastano per capire che oggi probabilmente non verrà nessuno. Eppure... non c’è una bava di vento, il cielo è sì coperto ma la visibilità è pur buona. Anzi, da cartolina con quelle nubi che presto diventano rossastre all'orizzonte. Così decido. “Vorrà dire che inizierò il nuovo anno da solo”.

L’ho fatto altre volte, in piena estate. Anche se non amo volare da solo. L’incidente, anche banale, può diventare severo se non c’è alcun appoggio. Però l’ho già fatto e piglio il tutto come una sfida, tacendo la solita vocina che mi suggerisce maligna di lasciar perdere. Di rimandare. “Il primo volo della stagione... che peccato!”.

Posiziono Darko nel consueto punto di decollo e parto. I primi giri sono pacati, quasi di prova. Poi inserisco le solite figure che faccio: loop, tonneau, percorsi a "8" e così via. Tutto fila liscio. Atterro, quasi impeccabile. E tiro un sospiro di sollievo. Così mi rilasso sulla seggiola. Guardo il cellulare, l’orizzonte ma... nulla. Ormai se non è venuto ancora nessuno, è segno evidente che sarò da solo.
Mi rassegno. Ho ancora due batterie che frizzano di vitalità. Così decollo una seconda ed una terza volta (sequenza mai raggiunta in questi casi; solitamente, volando in solitudine, mi sono limitato ad uno, massimo due voli). Veleggio, giro, incrocio... Darko è veloce. Sicuro. Quasi sfrontato nel suo volare bene. Ed io mi sento un papà orgoglioso. Scendo, pennello la pista e Darko si ferma mostrando sui ruotini il lucido dell’umidità.
Al terzo atterraggio mi dò una sonora pacca sulla gamba. E bacio, come di consueto, la capottina di Darko. “Grande Ste. Bravo Darko!”, esclamo, mentre in lontananza una coppia cane-padrone probabilmente si sta chiedendo chi è quel pazzo che vola da solo... con ‘sto freddo.

Mi accascio, infreddolito, sulla sedia, mentre ripenso a questa solaltitudine (misto di solitudine e altitudine), a questa esperienza che ha un non so che di mistico, di primordiale. Come un uomo d’altre epoche ti ritrovi in mezzo al bosco, a sfidare imprevisti, freddo, senso di paura. E sai che un eventuale soccorso non potrà che essere tardivo, nonostante il cellulare. Sì, volare da solo è un’esperienza forte. Esisti solo tu, i pensieri che accantoni,il modello e l’aria. Così diventi un tutt’uno, senza distrazione alcuna, accompagnato solo dai rumori che sopraggiungono dall’elica e dal tuo cuore che accelera.

Darko ora riposa, con i ruotini bagnati. È ora di andare. Il cielo s’è già fatto rossastro, la luce è più fioca. Ma attendo ancora un attimo. Guardo la pista, il cielo, la strada del ritorno. Sono fotografie che voglio fissarmi nella testa quando un domani, nell’eccitazione d’una pista affollata, ripenserò a questa solaltitudine di una giornata d’inverno.

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