La porta si apre e nella penombra penetra una fascio di luce inattesa.
Discreta. Scivola sul pavimento veloce e subito coglie una deriva, un pezzo d’ala,
il becco di un’elica che straborda da un lieve sudario leggero di nylon. Prima
uno poi, a mano a mano che il fascio di luce prende coraggio, eccone un altro
che mostra un pezzo di fusoliera: stemmi d’un passato che fu, meccanismi di
oggi, pilotini che sembrano raggelati dall'aver visto il mostro Medusa.
Eccoli i modelli dormienti. Riposano tranquilli nella penombra
polverosa d’una stanza remota; senza vita; e proprio per questo scelta perché
nessuno possa disturbare il sonno delle macchine che sembrano fissate nel
tempo. Ognuna ha il suo velo che sembra nasconderla, proteggerla dalle offese
di un presunto abbandono. Qui il tempo s’è fermato. Le ruote evocano tracce di
terra, segno di atterraggi tra l’umido delle zolle. Le ammaccature invece l’imprudenza
di mani inesperte, ma anche il coraggio di andare avanti comunque. Tutto è
silenzio. Fissità. Ma la luce ricrea realtà. Ridona vita a livree motivo d’orgoglio.
E gioca riflessa sul nero lucido dell’ala, sulla trasparenza d'una capottina,
sulla coccarda lucida che è motivo di vanto su ogni terreno.
Le macchine sembrano dormire. Ma è un’illusione. Il tempo, l’attesa,
la pazienza le ha solamente intorpidite, relegate in un non-sonno. Sappiamo
bene che basta una scintilla, una “flebo” di corrente continua a ridare sangue
a questi cuori elettrici, a smuovere magneti, a far girare gaie elica e ruote. E
così i sudari volano via come foglie d’autunno. Il motore ruggisce senza tosse.
Ogni meccanismo ritrova velocità e precisione.
Perché i modelli dormienti in realtà riposano. E sotto i veli protettivi sono
istantanee di momenti vissuti, inchiodati nell'attimo. Sono animali in letargo
leggero. Quieti, senza angoscia. Sanno bene che nessuno li ha dimenticati. E
attendono solo quella scossa leggera, il fremito di qualche ampere, una mano
gentile che li liberi dai lacci per correre ancora sulla terra per poi sfogarsi
nell’aria.
I modelli dormienti ci perdonano: perdonano la nostra paura, il nostro
ozio, il timore di portarli fuori come belve ingestibili, perché potrebbero farsi
male. Lo fanno perché sanno che non li abbiamo dimenticati. Eroi coraggiosi
dell’aria, guardano con tenerezza dalla punta della loro naca le nostre
debolezze. E aspettano, in silenzio e pazienza, al tepore di lievi coperte che
sanno quasi di dolce carezza.
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