martedì 29 ottobre 2019

I modelli dormienti


La porta si apre e nella penombra penetra una fascio di luce inattesa. Discreta. Scivola sul pavimento veloce e subito coglie una deriva, un pezzo d’ala, il becco di un’elica che straborda da un lieve sudario leggero di nylon. Prima uno poi, a mano a mano che il fascio di luce prende coraggio, eccone un altro che mostra un pezzo di fusoliera: stemmi d’un passato che fu, meccanismi di oggi, pilotini che sembrano raggelati dall'aver visto il mostro Medusa.

Eccoli i modelli dormienti. Riposano tranquilli nella penombra polverosa d’una stanza remota; senza vita; e proprio per questo scelta perché nessuno possa disturbare il sonno delle macchine che sembrano fissate nel tempo. Ognuna ha il suo velo che sembra nasconderla, proteggerla dalle offese di un presunto abbandono. Qui il tempo s’è fermato. Le ruote evocano tracce di terra, segno di atterraggi tra l’umido delle zolle. Le ammaccature invece l’imprudenza di mani inesperte, ma anche il coraggio di andare avanti comunque. Tutto è silenzio. Fissità. Ma la luce ricrea realtà. Ridona vita a livree motivo d’orgoglio. E gioca riflessa sul nero lucido dell’ala, sulla trasparenza d'una capottina, sulla coccarda lucida che è motivo di vanto su ogni terreno.

Le macchine sembrano dormire. Ma è un’illusione. Il tempo, l’attesa, la pazienza le ha solamente intorpidite, relegate in un non-sonno. Sappiamo bene che basta una scintilla, una “flebo” di corrente continua a ridare sangue a questi cuori elettrici, a smuovere magneti, a far girare gaie elica e ruote. E così i sudari volano via come foglie d’autunno. Il motore ruggisce senza tosse. Ogni meccanismo ritrova velocità e precisione.
Perché i modelli dormienti in realtà riposano. E sotto i veli protettivi sono istantanee di momenti vissuti, inchiodati nell'attimo. Sono animali in letargo leggero. Quieti, senza angoscia. Sanno bene che nessuno li ha dimenticati. E attendono solo quella scossa leggera, il fremito di qualche ampere, una mano gentile che li liberi dai lacci per correre ancora sulla terra per poi sfogarsi nell’aria.

I modelli dormienti ci perdonano: perdonano la nostra paura, il nostro ozio, il timore di portarli fuori come belve ingestibili, perché potrebbero farsi male. Lo fanno perché sanno che non li abbiamo dimenticati. Eroi coraggiosi dell’aria, guardano con tenerezza dalla punta della loro naca le nostre debolezze. E aspettano, in silenzio e pazienza, al tepore di lievi coperte che sanno quasi di dolce carezza.