martedì 8 settembre 2020

Io e il mio modello...

Io e il mio modello stiamo crescendo assieme. Ogni tanto mi fermo a guardarlo: le sue cicatrici di colla sono come le mie rughe sul viso: ad ognuna puoi collegarci una difficoltà, una caduta, un “crash” dell’anima; le scoloriture della livrea sono come la mia pelle meno elastica d’un tempo, dove il tempo ha disegnato mosaici di pori in una infinita tessitura di righe; il suo carrello rafforzato da nastro adesivo, dà il segno di tonfi poco gentili, di stalli del cuore, di infide mancanze d’aria e di ritorni repentini alla realtà della pianura.

Io e il mio modello stiamo invecchiando insieme. Per puro calcolo anagrafico, non certo emotivo. E lo vedo, stagliarsi gagliardo nella canicola di quest’estate così strana, rubare spazio agli uccelli in volo, ripetere manovre fatte mille volte eppure diverse ogni volta. E quando scivola nell'aria, penso sempre al ritorno. Un po’ come un tempo saliva l’angoscia del tornare a casa dopo un week-end fuori porta. Il ritorno del quotidiano, la fine dell’eccezione. Anche per lui l’aria è il suo elemento, non certo la terra. È nato per questo. Le ali sono la sua dimensione d’anima. Le ruote del carrello, invece,  solo le gambe necessarie a vivere anche il quotidiano, fatto di lunghe soste, rincorse sull'erba e la sensazione dell’aria che ci scivola sopra quasi giocasse.

Penso al ritorno, sì. E il tempo dell’aria è come quello della gioia: sembra sempre avaro, troppo corto, fatto d’attimi concessi tra lunghe pause dove cammini coi piedi ben per terra.

L’ultima virata la si fa a mezzo motore. A mezzo fiato. Come chi non ha voglia di tornare e allora s’allunga nell'attesa.  Dilata il secondo. Lento scivola, perde quota quasi giocasse a schiantarsi, ma poi lo riprendi, e come un albatro allarga le ali, allunga il carrello e corre nell'erba fino a fermarsi.

La batteria è calda come un cuore che ha corso tanto. Ed io sono il medico che gli stacca l’energia vitale. E gli concede riposo. Dentro i cavi allora la tensione sfuma. Il motore si raffredda. Tutto torna alla normalità dell’attesa.

Io e il mio modello ci fidiamo uno dell’altro. Ciascuno rattoppato alla meno peggio. Ciascuno con i suoi guai. I suoi sogni. I suoi bisogni d’aria. E di un punto, alto, dove poter guardare e vedere una volta tanto tutto serenamente piccolo. Innocuo.

E verrà il giorno in cui anche lui dirà basta: lo farà rompendo un servo, smusando nell'erba, impazzendo in volo. E allora vorrà dire che è arrivato il momento della sosta; e della quiete conquistata in ore d’aria e di caldo. Del poterlo guardare, magari sotto un telo, riposare in pace. Come un amico a cui non dai l'addio. Semmai un arrivederci.