lunedì 30 aprile 2018

Si debbono le imprese accettare...

"Non si potendo ottenere le cose grande senza qualche pericolo, si debbono le imprese accettare ogni volta che la speranza è maggiore che la paura". 

Francesco Guicciardini (1483 – 1540), filosofo, politico
e scrittore italiano". 


L'avevo rimandato da mesi quel collaudo. Complice di certo l'inverno (il modello mi era arrivato prima di Natale), e il fatto che comunque dovessi mettermi d'accordo con un pilota esperto del campo al quale spettava il gravoso compito di raccogliere la mia completa fiducia. A lui infatti mi ero rivolto per alzare il volo e testare questo mio Pilatus PC21 della FMS (nella foto con la sua "scatola" da viaggio). Nuovo di pacca. Coccolato e guardato anche con un certo timore fino ad oggi. Aereo nuovo. Fiducia da creare. E poi... le voci della "piccionaia", ovvero dei colleghi del campo. "Uhmmm pentapala e con 4 celle... sarà una scheggia!". E così già mi prefiguravo una freccia supersonica, da gestire come un TIR in corsa a pieno carico. E la paura aumentava. Ogni scusa per rimandare il collaudo era buona. Strano. Eppure il compito di testarlo non sarebbe stato mio ma del mio collega. Ma sapevo (e volevo) che una volta in volo la radio passasse a me per saggiarne l'emozione di averlo tra le mani.

"Finché sta in mansarda a prendere polvere è come se non ce l'avessi!" mi ripetevo. "Tanto vale tentare e vada come vada". Così, dopo due appuntamenti mancati per colpa della pioggia (stress da smaltire e nuova data da cercare) pochi giorni fa mi sono deciso. "Basta. Giovedì pomeriggio sono libero. Non piove. Il campo è meno frequentato. Andiamo!". E così è stato.

Preparo la macchina. Inserisco nel baule Shaky (l'ho chiamato così per via del profilo da squalo) legato con la cura di un trasportatore che debba portare in giro un prezioso sarcofago egiziano. E guadagno la strada per il campo. Ad ogni chilometro mi ripeto: non c'è ritorno, ora. O rientro a casa con il sorriso stampato, oppure depresso perché qualcosa  andato male, o semplicemente perché i miei timori si sono avverati: troppo veloce. Difficile da gestire. 

Non sarà così.

Arrivo al campo. Alle 15.00, puntuale, il mio mentore/collaudatore mi raggiunge. Osserva la bestiola. Ne è compiaciuto. "Bello... proprio bello". Sorrido. E' come se avessero fatto un complimento a me. Intanto smaltisco a malapena la tensione. "C'è un po' di vento, se aspettate un'oretta cala", mi suggerisce un altro collega. Accetto volentieri il consiglio. Rimando così l'appuntamento con la mia "sfida" di 60 minuti. Il collaudatore è d'accordo e assolutamente sereno. Beato lui!Più passano i minuti, però, meno mi rilasso. E' un po' come dal dentista: aspettare e rimandare va bene, ma poi vuoi solo "levarti il dente" e basta. Così dopo 30 minuti dico: "Basta. Andiamo!". E raggiungiamo il centro della pista.

Bello Shaky in mezzo all'erba. Una macchia rossa lucida nel verde. Vorrei fare una foto col cellulare, ma preferisco aspettare che tutto sia finito. Non si sa mai...
Il collaudatore manovra i piani di coda, gli alettoni, i flap. Tutto ok. Parte. 
Shaky beccheggia, sbuffa tra i fiorellini e poi si leva in volo. Nervoso. Ma lui, il mio mentore, non si scompone. Lo gestisce come un puledro immaturo. E' calmo come non mai. Io sudo.

Dopo un paio di circuiti Shaky si calma. E intanto il rumore dei trim (levette sulla radio usate per piccoli aggiustamenti dei piani mobili, ndr) si fa insistente. Il beep del timer schiocca i minuti. Dopo due minuti è il mio turno. La radio passa nelle mie mani nel momento in cui Shaky sembra un vecchio pony che vola.
E' il momento tanto atteso. Lui è in alto (quota di sicurezza), molto in alto per i miei standard. Non sono abituato e un po' mi innervosisce. Ma con mia sorpresa è docile, non troppo veloce e silenziosissimo. Così lo riporto ad una visibilità più consona alle mie abitudini. Scivola nell'aria come un gabbiano. E' stabile. "Sincero", lo definirà il collega. Ovvero, come poi mi spiegherà dopo: "Risponde esattamente ai comandi, senza sbavature". Poi atterra.

Ho due batterie. Due round. Quasi mi viene da dire... "E se decollassi io?", spinto dall'entusiasmo. Ma mi freno subito. Ci sono ancora regolazioni da fare. E così dopo venti minuti riprende il volo. Ma questa volta siamo in tre: il collaudatore. io ed un terzo collega che avrà il compito (in volo!) di regolare i flap. Roba tipo intervento a cuore aperto con anestesia locale. Io assisto, stupito di quelle quattro mani che lavorano sulla radio, mentre osservo Shaky obbedire come uno scolaretto rassegnato al fatto che non è lui che comanda. La radio torna a me. Questa volta mi godo di più il volo. Ma l'atterraggio, no... questa spetterà ancora al mio mentore. E lo esegue con destrezza e rassicurante felicità.

Sono entusiasta. Shaky ora è pronto. Ma soprattutto intero. Mi rilasso sulla seggiola. 

Ora un'altra sfida si pone. Un volo tutto da solo. Per questo guardo il meteo e i giorni liberi. So che lo farò, a breve. Ormai il ghiaccio è rotto. Anche se sono sicuro che quel giorno sarò tesissimo. Il come è andata... lo scriverò nel prossimo post!